Sul Corriere, editoriale del professor Francesco Giavazzi sulla tragedia greca. Un’analisi snella ed efficace, che centra senza troppi giri di parole il punto. Se non c’è crescita, prima o poi i debitori saltano:
«Il vero problema della Grecia non è il debito, ma la mancanza di crescita. Se l’economia non riprende, per stabilizzare il debito serve una correzione dei conti pubblici enorme: circa 14 punti di Pil, al di là di ciò che qualunque governo possa fare. Se invece la Grecia crescesse al 3%, l’aggiustamento necessario sarebbe severo, ma non impossibile: circa 6 punti»
Ma ce n’è anche per il Belpaese:
«Ma se ciò che rende il debito non sostenibile è la mancanza di crescita, non vedo quale sia la forza dell’Italia: neppure noi cresciamo e il nostro rapporto debito- Pil è ancora il più elevato nell’area dell’euro»
Il punto è esattamente quello, e non servono Ph.D. in economia per comprenderlo. Se un debitore non guadagna abbastanza per rimborsare gli ingenti debiti contratti, il default non è questione di se, ma di quando. Sulle ricette per innalzare la crescita, la giuria è ancora riunita. C’è tuttavia un passaggio dell’editoriale di Giavazzi che accenna ad un evento che ci era sfuggito. Pare che Silvio Berlusconi, in sede europea, abbia sollecitato a delegare la gestione delle crisi del Club Med al Fondo Monetario Internazionale.
Saremmo completamente d’accordo se non vi fossero un paio di problemi, uno politico ed uno che potremmo definire “tecnico- economico”. Quello politico, ampiamente risaputo, è dato dal voto di sfiducia sulla costruzione europea che l’intervento del FMI rivestirebbe. Almeno agli occhi dei vertici della Ue e di molti governi europei. Senza contare che, dall’altra parte dell’Atlantico, già si sentono mugugni (non necessariamente giustificabili, ma comprensibili) sul salvateggio della Grecia “con i soldi degli americani”.
Il problema economico ha in realtà due volti, uno di scelta degli strumenti e l’altro nuovamente di carattere politico e sociale. Il FMI interviene abitualmente nelle crisi di bilancia dei pagamenti, suggerendo tagli di spesa ed aumenti d’imposta, in un contesto di cambi prevalentemente fluttuanti. La recente eccezione è stata quella della Lettonia, paese che ha scelto di mantenere un peg rigidissimo all’euro, cascasse il mondo. Situazione analoga a quella greca: serve una cosiddetta “svalutazione interna”, l’amarissima medicina che gli irlandesi hanno ingerito, senza FMI né Ue. Cosa garantisce che governo ed opinione pubblica greca accetterebbero un piano di lacrime e sangue del FMI dopo l’eventuale rifiuto di analogo (e forse meno cogente) piano europeo?
C’è solo una strada: tagli di spesa nel breve termine, soprattutto previdenziale, e riforme strutturali per il lungo termine, per aumentare la crescita potenziale. Non guardate alle differenze di breve termine,che pure esistono, tra il nostro paese e la Grecia. Su questa traiettoria inerziale, fatta di non-riforme e di non-crescita, nel medio termine la Grecia siamo noi.