A conferma di quanto il tema della lotta alla corruzione stia facendo annodare il dibattito entro le mura del Pdl, oggi il guardasigilli Angelino Alfano ha precisato che tocca ai partiti compiere un “severo vaglio” dei candidati, evitando di mettere in lista coloro che hanno “curricula non brillanti” (sic); diversamente, qualsiasi legge sull’incandidabilità rischia di essere inutile o, peggio, di affidare alla magistratura una indebita supplenza.
Per meglio precisare il proprio pensiero, oltre che per mandare inequivocabili segnali di fumo al premier ed al partito, il Guardasigilli invia un deferente omaggio al piccolo esercito di Alfred Dreyfus, veri e presunti, che popolano questo paese: “Non credo che le leggi che determinano le incandidabilità siano strumenti efficacissimi. Men che meno filtri politici che fingono di trincerarsi dietro scelte legislative: le nostre carceri sono piene di innocenti e la nostra storia recente ci consegna tanti esempi di uomini accusati, poi assolti e nel frattempo politicamente finiti”.
Piuttosto – sostiene – è necessario un “severo vaglio all’interno dei partiti, ai quali senza dubbio può sempre sfuggire qualcosa ma, ed è bene riconoscerlo, soprattutto nelle loro organizzazioni comunali e provinciali i partiti sono piccole comunità, dove tutti sanno tutto di tutti e dove se c’è la volontà politica il filtro può essere ben più efficace di quello postumo che la magistratura talvolta è chiamata a fare”.
In pratica, par di capire, Alfano rinvia la selezione del personale politico all’ambito locale, dove il controllo sociale è più pervasivo. Inclusi i boatos di voci, vocine e delazioni assortite prodotte dalle guerre per bande partitiche. E come fare per quei candidati sconosciuti in ambito locale, magari perché paracadutati da Marte in qualche blindatissimo “listino del presidente”? Tirando le somme, il Pdl si è ficcato in un vicolo cieco: escludere solo candidati pregiudicati pare troppo banale e privo di effetti speciali, escludere quelli indagati o condannati solo in primo grado pare brutto perché, come detto, rischia di apparire una resa ai teoremi della magistratura. A questo surreale dilemma pare non esistere via d’uscita, non solo in fase di selezione del personale politico ma anche durante l’esercizio di pubblici uffici, come dimostrato anche dal sindaco di Milano, Letizia Moratti, che subito dopo l’arresto (in flagranza di reato) di Milko Pennisi ha preso una posizione durissima, “auspicandone” le dimissioni da ogni incarico, anche per non smentire il proprio aplomb.
Oppure ci sarebbe la via suggerita da un nostro fedele lettore, che ha alle spalle anni come dirigente d’azienda e consulente di tribunale:
«L’elezione ad un qualsiasi incarico pubblico dovrebbe far scattare un accertamento automatico reddituale e patrimoniale della guardia di finanza a scopo ricognitivo. La stessa cosa si fa ad ogni rinnovo di mandato. E poi si vede da dove arrivano incrementi patrimoniali e reddituali. Temo però che a questo punto saremmo costretti ad importare i consiglieri comunali dalla Svezia»
Attendiamo fiduciosi il ddl governativo anticorruzione.