Il lento tramonto del berlusconismo

Il risultato dell’ennesimo “giudizio divino” elettorale può essere sintetizzato come segue: la Lega continua a vincere, il Pdl continua ad essere inesorabilmente eroso: è la prosecuzione e l’accentuazione di quanto accaduto alle ultime elezioni politiche, anche se in pochi oggi se ne ricordano.

Il partito di Bossi continua la sua marcia trionfale al Nord, ma consegue (ad esempio) anche lusinghieri risultati nei feudi del Pd, ormai sempre più “partito appenninico”. Il Pdl prosegue nella smobilitazione dal Nord, volontaria o imposta dalle dinamiche locali di consenso. Malgrado le rassicurazioni di facciata e le simpatiche boutade del senatur, la Lega non sta stabilizzando alcunché, ma sta metodicamente perseguendo l’obiettivo di vampirizzare il Pdl, drenandone quote crescenti di elettorato. Il risultato pratico è che la Lega ha le mani saldamente sul timone del governo, oggi più di ieri, ottenendone (come ne otterrà) il progressivo spostamento di risorse fiscali. In un contesto di crescita economica, anche moderata, questa situazione potrebbe durare molto a lungo; nell’attuale situazione, fatta di crescita negativa o nulla (e comunque inferiore al già asfittico potenziale dell’economia italiana) e di assenza di riforme di struttura, ciò si traduce in un gioco a somma zero, con le regioni più deboli che restano al freddo, nel gioco della coperta troppo corta.

Da qui vengono e verranno spinte secessionistiche interne al Pdl, con la formazione di partiti-movimenti locali, di tipo single-issue, guidati da notabili-satrapi e sistematicamente ammantati di quella stessa retorica meridionalista che ha contribuito al disfacimento di quella parte del paese; il presidente del Consiglio tenterà di riassorbire queste spinte alla disgregazione, come già fatto nel recente passato, spostando temporaneamente e futilmente voci di spesa pubblica da un capitolo all’altro.

La Lega ha smesso da tempo di offrire al paese un’opzione riformatrice, ma rappresenta solo il sistematico tentativo di acquisizione di risorse fiscali, per riequilibrare il saldo tra tasse pagate e trasferimenti ricevuti dal centro. Quanto al resto, la Lega si oppone da sempre alla semplificazione dei livelli di governo locale (vedasi il no all’abolizione delle province), mantiene una saldissima presa sulle municipalizzate dei territori in cui è al potere, e come evidente premio al successo elettorale locale ora si cimenta nella colonizzazione delle fondazioni bancarie, che hanno già portato il neo-governatore veneto, Luca Zaia, ad alzare la voce nei confronti del progetto di “bancone” di Alessandro Profumo ad Unicredit: un’idea che appare l’antitesi del concetto di “banca dei territori” e soprattutto che taglia un significativo numero di poltrone e poltroncine nei sistemi di governance duale (e stratificata) del sistema bancario “federale” del Nord. La Lega non innova ma acquisisce, in un contesto nazionale a somma zero. E’ portatrice di una visione statica e conservatrice dei rapporti economici e sociali, e cementa il proprio consenso su una suggestione securitaria che disinvoltamente sconfina in forme di razzismo “popolano”.

Come entra Berlusconi in questo scenario, proprio mentre su ogni canale impazzano le dichiarazioni trionfanti dei Gasparri, dei Bonaiuti, dei La Russa? C’entra, nella misura in cui i tre restanti anni di legislatura (quelli in cui dovremmo vedere l’alba della nuova era, ma non la vedremo), saranno caratterizzati da un’accentuazione dell’impotenza riformistica del premier, e al contempo dalla spinta leghista alla realizzazione di un federalismo fiscale “redistributivo” verso il Nord, che cioè nulla ha di realmente idoneo a promuovere la crescita economica. Perdurando la situazione di stagnazione economica, il nostro paese continuerà a crescere poco, troppo poco. Ciò si scontrerà con le rivendicazioni leghiste, a cui Berlusconi dovrà necessariamente sottomettersi. Aumenterà il dualismo territoriale, ed il premier sarà preso nel mezzo, mediando ogni volta un equilibrio ed un equilibrismo sempre più instabili. Lungi dall’aver “stabilizzato” il quadro politico, queste elezioni ne accelereranno la disgregazione, soprattutto se alcuni fenomeni visti a questo turno elettorale dovessero rivelarsi non estemporanei né transitori.

In questo quadro, assai difficilmente (a nostro avviso) Berlusconi riuscirà a dare al Paese un progetto di crescita e sviluppo unitario, basato su riforme che non ci sentiamo più di definire liberali e liberalizzatrici, ma che ci basterebbe definire (assai riduttivamente) pro-crescita. Se le cose andranno in questo senso, aspettiamoci forti turbolenze ed un ulteriore degrado della vita politica (e civile) italiana, che segneranno il tramonto del berlusconismo in parallelo con l’accentuarsi del declino italiano, e non solo dello stato nazionale. Al contempo, aspettiamoci (almeno nella fase iniziale della transizione) un’ulteriore ascesa del tremontismo e di Tremonti, nume tutelare del leghismo e della sua domanda di “protezione” e “conservazione”. Oggi più che mai al crocevia del potere bancario del Nord, in sinergia con la Lega, come detto. Ma anche questo scenario rischia di essere un gioco a somma minore di zero: la spiccata propensione tremontiana all’imbalsamazione dell’esistente, se confermata, finirà con il rafforzare le tendenze leghiste all’isolamento culturale ed al “tradizionalismo” economico, con esiti infausti.

Comunque vadano le cose, il paese è destinato a soffrire, e non poco. Per questo vedere e leggere oggi dei festeggiamenti in casa pidiellina ha un che di surreale, pur se giustificato in un’ottica miope quale quella che caratterizza la politica, dove un anno è un’era geologica. Ma il mondo continua a correre ed anzi accelera, con buona pace delle elucubrazioni filosofiche sul destino del Partito democratico e del suo immancabilmente caduco segretario pro-tempore.

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