La Banca d’Italia ha pubblicato gli ultimi dati, riferiti al mese di ottobre, del contributo italiano agli aggregati monetari dell’area dell’euro. Come si vede, la variazione tendenziale (cioè su base annua) dell’offerta di moneta, nelle sue varie definizioni, si conferma negativa ed in peggioramento. Per M1 siamo a meno 3,49 per cento, da meno 1,35 di settembre. Negativo anche M3, a meno 0,73 per cento da meno 0,13 per cento. Il tutto a fronte di un Pil nominale cresciuto, nell’ultimo anno, di circa il 2 per cento. Si comprime anche la quota di partecipazione italiana alla base monetaria dell’area euro.
Ripetete con noi: siamo in un credit crunch, che è stato esacerbato a livello indiretto dalla decisione di coinvolgere i privati nelle procedure di default (scelta tedesca dell’ultimo trimestre 2010) e a livello drammaticamente diretto dagli esiti degli sciagurati stress test dell’EBA del mese scorso. Il mese prossimo la Bce taglierà i tassi, citando restrizioni monetarie in atto, ma sarà poco e troppo tardi. Se un’intera area si pone deliberatamente in restrizione fiscale per risanare i propri bilanci, credendo di essere una piccola economia aperta e non un mastodonte che condiziona con le proprie scelte l’economia mondiale, servirebbe almeno compensare la stretta fiscale con una espansione monetaria, perché diversamente si finisce dritti nel 1937 americano. Non è questione di non fare i compiti a casa, se si ha una banca centrale matrigna che tiene un bias monetario restrittivo simultaneamente ad una stretta fiscale violenta a concentrata nel tempo. Eppure pare troppo difficile da capire.
Un suggerimento a tutti gli adepti della scuola austriaca: quelli tra voi che perderanno il lavoro, nelle prossime settimane e mesi, si consolino pensando che si tratta in definitiva di malinvestment che devono essere purgati dal mercato. E con il fatto che stiamo combattendo una inesistente inflazione con un credit crunch che sarà citato nei libri di storia, non solo economica. Beata ignoranza che muove il mondo.