La stima finale del Pil italiano del secondo trimestre, rivisto al rialzo a +0,3% trimestrale da +0,2%, mostra determinanti di crescita molto differenti da quelle del primo trimestre. La cosa non stupisce, ma visto che il nuovo sport nazionale sembra essere diventato quello di leggere singoli dati e proiettarli nella stratosfera (qualcosa di cui parleranno i libri della miserevole storia patria, al capitolo Matteo Renzi), è utile fare un minimo di analisi con velleitarie finalità divulgative.
Per fare ciò, prendiamo i contributi alla crescita del trimestre. Intanto, i consumi: la spesa delle famiglie residenti cresce dello 0,3% dopo la contrazione dello 0,1% del primo trimestre. Questo è un dato positivo, che potrebbe essere figlio di un clima psicologico lievemente migliorato supportato dalla disinflazione, che aumenta il potere d’acquisto. Infatti il tasso di risparmio delle famiglie non è stato ridotto ma è rimasto stabile o in lieve aumento.
Nullo il contributo dei consumi della pubblica amministrazione mentre quello degli investimenti fissi lordi sottrae nel trimestre lo 0,1% di Pil, mentre nel primo trimestre aveva apportato lo 0,2% di crescita. Per il secondo trimestre consecutivo la domanda estera netta sottrae crescita, cioè le importazioni crescono più delle esportazioni. Se ciò sia dovuto, come avveniva nel passato con la lira, a fenomeni di costante perdita di competitività del paese oppure alla conformazione corrente delle catene globali di valore nella filiera produttiva (che sono legate a considerazioni di vantaggio comparato e comunque non variano in tempi rapidi), non è dato sapere.
Quello che balza all’occhio è, ancora per il secondo trimestre consecutivo, il forte contributo delle scorte alla crescita. Dallo 0,5% del primo trimestre allo 0,4% del secondo. Come leggere questo dato? Gli analisti delle case d’investimento tendono a leggerlo positivamente, come accumulo di scorte funzionale alla ripresa della domanda, in coerenza con le risultanze dei sondaggi sugli indici dei direttori acquisti. In altri termini, si crea magazzino perché i programmi di produzione stanno dando segni di risveglio. Occorre sempre tenere un occhio sulle survey di attività, vista la congiuntura globale e le turbolenze cinesi ma non solo. Se vedremo un rallentamento della domanda, esiste il rischio che le scorte divengano un accumulo involontario, e quindi che debbano essere “smaltite” nei prossimi mesi attraverso minori livelli di attività.
Se depuriamo la crescita del Pil dal contributo delle scorte, prendendo in considerazione solo i consumi domestici e gli investimenti, otteniamo la grandezza definita da Istat “domanda nazionale al netto delle scorte”. Ebbene, questo dato, per gli ultimi quattro trimestri, mostra questo andamento: 0, +0,2%, +0,1%, +0,2%. Cioè mostra una sostanziale assenza di trend in un quadro di evidente debolezza, malgrado la forza degli stimoli esogeni positivi, soprattutto prezzo del greggio e cambio dell’euro, anche se il secondo nelle ultime settimane è in parte venuto meno.
In sintesi, un dato di crescita che permane molto modesta e senza evidenziare trend qualitativi definiti, proprio perché i driver di crescita sono molto differenti tra il primo ed il secondo trimestre del 2015, e con l’ambiguità di fondo dell’accumulo di scorte. Come direbbero gli americani, nulla di cui scrivere a casa.