Il DEF, i miraggi e la piena del debito

Domani il governo di Giorgia Meloni dovrebbe presentare il Documento di economia e finanza (DEF), il quadro di finanza pubblica triennale che segna l’inizio della lunga stagione che porta, in autunno, alla elaborazione della legge di bilancio per l’anno successivo. Ci sono ricorrenti voci che l’esecutivo abbia deciso di non presentare il quadro programmatico del DEF, cioè quello che emerge a seguito dell’adozione di misure che alterano la traiettoria tendenziale dei conti pubblici.

Fonti dell’esecutivo motivano questa eventuale decisione, che sarebbe una prima assoluta per un governo non dimissionario, con le nuove regole del patto di stabilità, che saranno formalmente approvate solo a maggio e vedranno l’Italia e un’altra decina di paesi in procedura di infrazione dopo l’estate, con un percorso che dovrebbe riportare il rapporto deficit-Pil sotto il 3 per cento ma che con le nuove regole sarebbe solo una tappa intermedia, visto che obiettivo ultimo, fortemente voluto dai tedeschi, è raggiungere un deficit-Pil di 1,5 per cento.

E L’indebitamento s’impenna

Se effettivamente vedremo solo il quadro tendenziale del DEF, questa potrà essere una giustificazione sufficientemente robusta. Prescindendo, per ora, dall’incertezza che l’eventuale assenza del quadro programmatico eserciterebbe su famiglie e imprese, è innegabile l’affanno dei nostri conti pubblici, minati dalla progressiva trasformazione in debito dei crediti d’imposta edilizi, di cui quelli del Superbonus sono parte preponderante e tragicamente fuori controllo.

Il governo, nelle parole del sottosegretario all’Economia Federico Freni, si attende quest’anno un rapporto debito-Pil prossimo ma “sicuramente sotto” il 140 per cento, contro il consuntivo 2023 fissato da Istat a 137,3 per cento. Ricordate questo numero? È stato quello che ha dato fiato alle trombe dei keynescemi, in modo del tutto fallace.

Cosa causerà quest’anno il rimbalzo dell’indebitamento? Il capitolo del cosiddetto aggiustamento stock-flussi, quello dove sono appostati (con un fucile di precisione) gli effetti del Superbonus. Per avere un’idea dei numeri e della velocità con cui la situazione è precipitata, si può leggere questo passaggio dell’articolo di Gianni Trovati sul Sole di domenica 7 aprile:

[…] nel maggio del 2023, il pleistocene nel calendario impazzito dei crediti d’imposta edilizi, il Mef calcolava in 67 miliardi il Superbonus, in 116 miliardi il totale degli incentivi edilizi e in 21,97 miliardi l’impatto sul debito 2024. Basta una proporzione con i numeri attuali per veder schizzare sopra i 40 miliardi l’eredità negativa sul 2024 (per tacere del biennio successivo). E 40 miliardi abbondanti sono i circa due punti di Pil che porterebbero il debito nei dintorni del 139 per cento, cancellando la discesa marginale prevista ancora nella Nadef.

E questo è solo il primo di una serie di anni in cui avverrà la trasformazione in debito pubblico dei crediti d’imposta dell’edilizia. In pratica, i contribuenti italiani avranno per i prossimi anni da pagare il mutuo a poche centinaia di migliaia di fortunati connazionali.

Cosa diceva il quadro tendenziale

Visto che stiamo parlando di quadro tendenziale, che ovviamente andrà comunque aggiornato ad esempio con le variabili macroeconomiche esogene quali commercio estero, cambio del dollaro e prezzi dell’energia, andiamo a vedere cosa prevedeva la Nadef dello scorso settembre:

Come vedete, per il 2024 il rapporto deficit-Pil tendenziale, cioè a legislazione invariata, è visto al 3,6 per cento, che sarebbe niente male se non fosse per due complicazioni: la prima, che il consuntivo 2023 ha avuto un deficit di ben 7,2 per cento del Pil (non del 5,2) a causa del Superbonus: la seconda, che il tendenziale non considera la quindicina di miliardi necessari per reiterare la decontribuzione per i dipendenti che guadagnano meno di 35 mila euro lordi annui e la soppressione dell’aliquota Irpef che rappresenta il primo modulo della cosiddetta riforma fiscale del governo Meloni. Tanto riforma da essere appesa, anno dopo anno, alla disponibilità di risorse per finanziarla.

Ahimè, o ahinoi, quel 3,6 per cento di tendenziale fu poi modificato ad autunno inoltrato, dopo aver scoperto che il deficit da Superbonus stava inesorabilmente lievitando, e l’asticella del nuovo tendenziale fu posta al livello del programmatico 2024, cioè 4,3 per cento.

Come e dove il governo troverà quei soldi, visto che le risorse sono state distratte dalla trasformazione in debito dei crediti dell’edilizia? Ecco la domanda delle domande. C’è chi spera che i tassi d’interesse scendano in modo vistoso, come da attesa ormai messianica sui due lati dell’Atlantico. Ma non è affatto detto che le cose vadano così, oppure il calo potrebbe essere molto inferiore alle attese.

Attenzione, però: dobbiamo anche lavorare alla riduzione del deficit primario, cioè alla differenza tra entrate e spesa pubblica al netto di quella per interessi. Deficit che deve trasformarsi in corposo avanzo, per rispondere ai nuovi target del patto di stabilità. La Nadef programmatica prevedeva tale deficit primario per il 2024 allo 0,2 per cento del Pil. Quindi eviterei le solite concupiscenze da tossici di deficit che vedono tesoretti a ogni angolo di strada, mentre attendono lo spacciatore.

Il costo opportunità per tossici da deficit

In sintesi: detesto dire che ve l’avevo detto, più e più volte, ma questi bonus edilizi entreranno nella storia, non solo economica, di questo devastato paese. E non certo per merito. Poi, guardate come è beffardo il destino: avremo circa 200-210 miliardi di debito aggiuntivo da bonus edilizi, cioè all’incirca la stessa cifra delle erogazioni del PNRR. È certamente un caso ma, se fossimo negli States, qualcuno potrebbe dire che è in realtà un segno del Cielo, che si accinge a punirci (pensate come stanno messi molti americani, a proposito). Come che sia, credo che in Italia il numero di pentiti per eccesso di deficit resterebbe basso anche se la terra si aprisse sotto i nostri piedi.

Per gli amanti del concetto di costo opportunità, che per gli anglofili si chiama tradeoff e per tutti gli altri è la scelta tra burro e cannoni (che da noi finisce sempre con opzionare la terza via, quella dei cannoli), pensate cosa avremmo potuto fare per il nostro ormai devastato servizio sanitario nazionale con una parte della somma devoluta a cappotti termici e infissi. Lo so, lo so: la spesa sanitaria è soprattutto corrente mentre il Superbonus è una tantum. Ma ricordate che anche la morte è un evento una tantum, quindi non sottovaluterei la fattispecie, parlando di conti pubblici.

Ah, a proposito: nel gran bar dei social ho sentito corbellerie di ogni tipo. Ad esempio, ho udito il rigurgito di “chiediamo il MES sanitario!”, che conferma come il lavaggio del cervello, nell’era dell’idiotismo di like e retweet, abbia ormai raggiunto livelli di efficacia che avrebbero fatto salivare copiosamente Goebbels. Figlioli, il MES sanitario è terminato un anno e mezzo addietro. Coraggio, potete farcela. Inoltre, quella misura era di caratteristico finanziamento di spesa corrente ma destinata a terminare dopo l’emergenza: ad esempio dispositivi di protezione individuale. Per il SSN, invece, oltre a strutture fisiche e a farmaci sempre più sofisticati e costosi, serve la spesa corrente degli stipendi del personale, e quella persiste. Quindi anche basta col MES sanitario, da bravi. Ditelo anche ai vostri idoli, in caso.

Poi abbiamo altre conseguenze del Superbonus non esattamente previste ma sempre imputabili al concetto cardine di costo opportunità. Secondo voi, di quali e quante risorse disporrà ora lo stato, per contribuire alla ristrutturazione ecologica del patrimonio immobiliare? Zero, dite? C’è questo rischio, in effetti. Come dite? Che quella direttiva europea è una vergogna a cui ribellarsi, in quanto parte della dittatura ecologista? Potrei anche darvi ragione, ma temo che sarà il mercato a decidere quanto vale il vostro patrimonio immobiliare, in assenza di interventi. Anche il mercato è parte del complotto eco-woke, mi sa. O no?

Bene, ora che ho doverosamente ricordato l’imprescindibile concetto di costo opportunità, quello che le italiche stirpi rigettano da decenni e che le ha ridotte all’attuale miseranda condizione, attendo fiduciosamente le misure e contromisure del governo Meloni e della sua maggioranza. Che sul Superbonus è “all’incirca”, ma non completamente, innocente. Come quadrare conti e improbabili “riforme” fatte coi fichi secchi? Come continuare a far credere ai gonzi che Quota 41 è vicina, quando siamo sotto il tallone della dittatura della demografia? Forse mandando in pensione la gente con una ciotola di riso, anche per stimolare “progetti di vita” basati sulla capacità di sopravvivenza.

La riforma fiscale “per pagare meno tasse”, i miraggi pensionistici, le elargizioni a deficit per “mettere più soldi nelle tasche degli italiani”: questi e altri “miracoli italiani” rischiano di essere spazzati via dalla piena del debito da Superbonus. Per tacere delle gravi incognite del quadro economico internazionale su congiuntura e spesa per interessi. Come reagirà la nostra politica treccartara?

Si tornerà alla lotta dura alla “austerità” intesa come deficit inferiore al 5 per cento del Pil? Avremo ululati contro “i burocrati di Bruxelles”, anche nel caso in cui le elezioni europee dovessero far trionfare i partiti sovranisti, che poi sono quelli che “ognuno per sé e dio per tutti, e comunque not with my money“? Ah, saperlo.

Nell’attesa, un saluto dal paese dove il dibattito pubblico è un interludio cacofonico e propagandistico posto tra una crisi fiscale e la successiva.


Aggiornamento del 10 aprile: il governo approva il Def “light” (sic), dove il tendenziale è il programmatico della Nadef, di fatto. Attendiamo di conoscere le ipotesi del modello ma avere un debito-Pil che nel 2024 cresce di solo lo 0,5%, malgrado l’inizio della piena del Superbonus, lascia perplessi.

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