Salario minimo, morte di una direttiva mai nata

È stata varata dal Consiglio Ue e dal Parlamento europeo il 14 settembre del 2022 e già rischia di essere consegnata al cestino della spazzatura normativa europea. Parliamo della direttiva sui “salari minimi adeguati” nell’Unione europea. Ieri l’Avvocato generale della Corte di Giustizia Ue, accogliendo un ricorso della Danimarca e successivamente sostenuto anche dalla Svezia, ha definito tale normativa incompatibile col Trattato dell’Unione europea, per violazione delle competenze nazionali degli stati membri riguardo a retribuzione e diritto di associazione.

Ingerenza nelle competenze nazionali

L’Avvocato generale ha quindi proposto alla Corte di giustizia di annullare integralmente la direttiva. Di solito, la Corte accoglie le indicazioni dell’Avvocato generale. I due paesi ricorrenti avevano sostenuto che la direttiva rappresentasse una inaccettabile ingerenza dell’UE in materie rigorosamente nazionali. Durante le udienze, si sono pronunciate a favore della direttiva Belgio, Germania, Grecia, Spagna, Francia, Lussemburgo, Portogallo.

La direttiva 2022/2041 doveva essere pienamente recepita dagli Stati membri nella legislazione nazionale entro il 15 novembre 2024. Secondo l’Etuc, l’associazione europea cui aderiscono 94 organizzazioni sindacali di 42 Paesi dentro e fuori l’Ue, al 13 dicembre scorso la direttiva era stata integralmente ratificata da 14 Stati membri (tra cui Italia e Germania), da altri cinque, tra cui la Francia, solo in parte, mentre i rimanenti paesi (tra cui Spagna, Svezia, Danimarca, Polonia) erano ancora allo stadio di bozze di legge di recepimento.

Il punto di tale normativa è che da subito è apparsa come una raccolta di principi di base a cui dare attuazione, non certo come fonte di obblighi puntuali sanzionati in caso di inadempimento degli Stati nazionali. Non c’è obbligo di introdurre salari minimi nei paesi che oggi non lo hanno (Italia, Danimarca, Svezia, Austria e Finlandia), nei quali le retribuzioni minime sono frutto delle contrattazioni collettive di categoria. Né vengono fissati livelli precisi di salario minimo per i restanti 22 Stati che lo prevedono per legge, ma solo l’attuazione di “un quadro procedurale per fissare e aggiornare questi salari minimi secondo un insieme di criteri chiari.”

Ma la direttiva chiede anche che i salari minimi siano aggiornati almeno ogni due anni o non oltre quattro anni. Tale prescrizione, secondo l’Avvocato generale, costituirebbe già una violazione delle competenze nazionali, a termini del Trattato Ue.

La direttiva chiede ai paesi che non prevedono salario minimo, come l’Italia, che la contrattazione collettiva copra almeno l’80 per cento dei lavoratori. Ma l’Italia, come sappiamo, è sopra quella soglia, anche se da noi c’è la polemica sui cosiddetti contratti pirata, che valgono a fini di copertura della contrattazione collettiva.

Ogni paese per sé

Che lezioni trarre da questa vicenda? Intanto, che la tensione tra competenze esclusive degli stati e norme comunitarie è destinata ad aumentare, anche per lo spirito del tempo, con la spinta sovranista che è presente un po’ ovunque. Se prevarranno interpretazioni federaliste pure del costrutto europeo, vedremo altri casi simili a questo.

Come forse ricorderete, in Italia la direttiva ha suscitato l’abituale frastuono dei paladini del “ce lo chiede l’Europa”, anche se l’Europa, nel caso specifico, chiedeva assai poco e malgrado il nostro sistema di contrattazione collettiva fosse già formalmente in regola con il principio di fondo della direttiva. Ma erano i tempi del grande spin della sinistra per varare il salario minimo, e quindi il frastuono era garantito.

A parte questo enorme fraintendimento della direttiva, che ci lascia sempre a cercare di capire se in Italia siamo abili a strumentalizzare o solo incapaci di comprendere un testo, oggi da noi c’è polemica tra il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, e la Cisl, che ha raccolto le firme per una legge di iniziativa popolare che dia attuazione all’articolo 46 della nostra Costituzione, consentendo la partecipazione dei lavoratori a consigli di amministrazione e di sorveglianza e alla distribuzione degli utili.

I motivi dell’attrito sono facilmente comprensibili: Landini teme che questa iniziativa, ove diventasse legge, finirebbe per spostare in modo decisivo la contrattazione collettiva a livello aziendale e non nazionale. Forse non ha tutti i torti, ma personalmente continuo a credere che i tempi siano più che maturi per arrivare a questa trasformazione, con tutte le garanzie del caso, tra cui anche il salario minimo. Che, in un quadro di decentramento aziendale e/o territoriale della contrattazione collettiva, avrebbe pienamente senso e anzi sarebbe necessario.

Bene quindi la spinta a tale iniziativa popolare ma senza illusioni. Se qualcuno, come la Cisl, pensa che questa sia la strada per fare dell’Italia un sistema produttivo più “tedesco”, sappia che la stessa Germania, alle prese con la sua crisi esistenziale, procederà comunque alle dolorose ristrutturazioni che la situazione impone. La massiccia presenza di rappresentanti dei lavoratori negli organi di governo aziendale non servirà a rimandare l’impatto con la realtà. Diversamente, il rischio è quello di cristallizzare la crisi e di far morire anche la possibilità di far uscire le aziende dalla crisi.

Tutto questo per dire che ogni paese deve perseguire la propria competitività e che oggi ha ancor meno senso attendere il diktat, vero o immaginario, da Bruxelles. Ma anche che, data la crisi esistenziale tedesca, che minaccia rapidamente di diventare europea, dalle prossime elezioni federali del 23 febbraio uscirà una leadership, quella dell’esponente della CDU Friedrich Merz, destinata a picconare il ricco stato sociale tedesco, inclusi i diritti sin qui acquisiti dai lavoratori.

Sostieni Phastidio!

Dona per contribuire ai costi di questo sito: lavoriamo per offrirti sempre maggiore qualità di contenuti e tecnologie d'avanguardia per una fruizione ottimale, da desktop e mobile.
Per donare con PayPal, clicca qui, non serve registrazione. Oppure, richiedi il codice IBAN. Vuoi usare la carta di credito o ricaricabile, in assoluta sicurezza? Ora puoi!

Scopri di più da Phastidio.net

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere

Condividi
Your Mastodon Instance