Un commento di Javier Blas, giornalista di Bloomberg specializzato nei temi dell’energia, torna ad occuparsi del rapporto tra la Cina e il carbone. Che, come abbiamo visto, resta pressoché simbiotico anche dopo che Pechino ha assunto il ruolo di superpotenza delle rinnovabili e dell’auto elettrica. Blas segnala che i cinesi utilizzano in modo massivo il processo di liquefazione del carbone noto come sintesi di Fischer-Tropsch, ideato un secolo addietro da due chimici tedeschi, per trasformare il carbone in prodotti petrolchimici e combustibili liquidi. Un processo utilizzato dalla Germania nazista, dove appunto è stato inventato, per sostenere lo sforzo bellico e dal Sudafrica dell’Apartheid per ridurre il morso delle sanzioni internazionali.
Da carbone a petrolchimica e carburanti
Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, la Cina consuma circa 380 milioni di tonnellate di carbone come materia prima per la produzione di prodotti chimici e carburanti liquidi. Un quantitativo che, preso singolarmente, sarebbe al terzo posto mondiale per consumi di carbone, dietro a quelli tradizionali, di cui la Cina è primatista mondiale per larghissimo distacco, e dell’India. Per meglio inquadrare il punto, Blas sottolinea che la Cina consuma da sola più carbone della somma di tutti gli altri paesi del mondo.

L’industria della conversione del carbone è attesa crescere ulteriormente, compensando la riduzione della domanda causata dal calo della produzione di cemento e acciaio. Resta difficile monitorare gli sviluppi di questo segmento dell’industria perché mancano fonti statistiche aggiornate su base regolare.
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Scrive Blas:
Da decenni, la Cina ha convertito parte del suo carbone in prodotti chimici e combustibili liquidi in quella che gli studiosi chiamano l’industria chimica del carbone “tradizionale”. Il punto di partenza era quasi sempre il carbone metallurgico, convertito in coke e ulteriormente trasformato in fertilizzanti a base di ammoniaca e sostanze chimiche a base di acetilene. Tuttavia, negli ultimi due decenni, la Cina ha costruito un secondo strato, tipicamente noto come l’industria chimica del carbone “moderna”, basata su nuove variazioni del vecchio processo Fischer-Tropsch e su nuovi metodi sofisticati, inclusa la sintesi del metanolo per produrre beni petrolchimici, come le olefine, utilizzate a loro volta per produrre plastica.
Dagli anni Dieci di questo secolo, le applicazioni commerciali del processo sono decollate, e sono oggi presenti soprattutto nell’entroterra, dove si trova la maggior parte dei giacimenti di carbone del paese, lontani dalle città costiere. Tale è il livello di integrazione produttiva che il carbone viene estratto pressoché direttamente sotto gli impianti chimici e trasportato mediante nastri trasportatori nei forni dove viene gassificato e trasformato, per poi finire nei consumi quotidiani come bottiglie di plastica e abiti in tessuto sintetico. La cosiddetta trasformazione diretta carbone-liquido era parte del decimo piano quinquennale cinese, e sta producendo una grande quantità di brevetti industriali.
Un processo strategico
Il processo è strategico per le autorità cinesi in primo luogo perché rafforza la sicurezza energetica. Produrre combustibile liquido, fertilizzanti e altri prodotti petrolchimici da carbone estratto a livello domestico evita importazioni di petrolio e gas naturale (con buona pace delle aspirazioni russe sul progetto Power of Siberia 2, che è in stallo e a intervalli regolari deve essere rilanciato con dichiarazioni ufficiali). Il governo cinese considera da sempre la propria dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili come una minaccia per la sicurezza nazionale.
La scorsa settimana gli Stati Uniti hanno informato almeno un esportatore americano di etano che d’ora in avanti serviranno licenze all’esportazione in Cina, perché le vendite “rappresentano un rischio inaccettabile di utilizzo o di deviazione per un ‘uso finale militare’ in Cina.” L’anno scorso, la Cina ha rappresentato quasi il 50 per cento delle esportazioni americane di etano.
In secondo luogo, la conversione carbone-liquido crea nuovi usi per il fossile proprio mentre la sua domanda proveniente da acciaierie e cementifici è attesa contrarsi, sommandosi al calo prodotto dalla crescente generazione solare ed eolica. Finora, l’uso di carbone per la generazione di energia è rimasto stazionario mentre la conversione sta esplodendo. Mantenere la domanda di carbone è ancora più importante nelle principali regioni produttrici come Shanxi, Mongolia Interna, Xinjiang e Shaanxi. Nello Xinjiang, il gigante statale China Energy Investment Corp. sta investendo miliardi di dollari in versioni moderne — e di gran lunga più avanzate — del processo Fischer-Tropsch. Oggi l’estrazione di carbone occupa direttamente circa due milioni di persone, oltre al vasto indotto.
Il comparto è insomma considerato come un gioiello, anche se origina da un processo vecchio esattamente di un secolo. I giornali statali descrivono i loro impianti di conversione come “un grande giacimento petrolifero che si trova sopra un mare di carbone”. La sintesi è che il carbone resta centrale nel modello di sviluppo cinese e di conseguenza continua ad esercitare i suoi effetti avversi sul clima, anche se il paese è ormai diventato una potenza nelle rinnovabili, ultima arma per invadere il mondo con le proprie esportazioni.
Soddisfare la domanda “verde” del pianeta, distruggendo le industrie dei paesi di destinazione del proprio export, poggiando la propria manifattura sul combustibile fossile per eccellenza. I cinesi possono essere fieri del loro ingegno. Oppure sorridere pensando alla stupidità altrui.
(Immagine creata con WordPress AI)




