Da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca, una domanda domina sul pianeta: il dollaro perderà il suo ruolo di riserva valutaria mondiale? Come noto, per questa amministrazione e alcune sue teste d’uovo (in senso letteralmente morfologico), il dollaro non sarebbe un privilegio esorbitante, come ebbero a dire i soliti invidiosi francesi, ma un onere altrettanto esorbitante, perché gli afflussi di capitali dal resto del mondo determinano una perdita di competitività delle merci statunitensi, scavando il famigerato deficit commerciale.
In conseguenza di questa “emergenza” (che molti nel mondo vorrebbero avere), da mesi si rincorrono ipotesi fantasiose e fantascientifiche, come l’imposizione di una tassa sugli acquisti di attivi finanziari statunitensi, oppure la variazione sul tema: tasse a danno dei residenti di paesi che attuano “discriminazione fiscale” a danno degli USA, ad esempio mediante le Digital Services Tax.
Il dollaro sta per abdicare?
Nel frattempo, è un dato di fatto che il biglietto verde si sta deprezzando in modo piuttosto vistoso, come del resto avviene a cicli. Questa volta sarà differente e, anziché qualcosa di ciclico, avremo un declino strutturale? Di certo, se gli Stati Uniti assumono la postura di non volere essere vittime del proprio (passato) successo, cioè di non volere ricevere capitali dal resto del mondo, i capitali defluiranno e cercheranno casa altrove. Ma dove?
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Qui viene subito alla mente l’oro, di cui parlano praticamente tutti, dal quotidiano generalista italiano che arriva in ritardo di alcuni mesi sul resto del mondo ma sempre con grande sicumera, sino ai venditori retail del metallo giallo, i cui spot radiofonici e su internet si sono impennati come non accadeva dai tempi grami dei Compro oro. Ora siamo all’inversione del messaggio: “comprate oro, ché c’è la guerra”.
L’oro ha superato l’euro come secondo asset di riserva delle banche centrali nel 2024. Ciò è accaduto per effetto congiunto di rivalutazione del prezzo e acquisti aggiuntivi. Nel frattempo, nella Ue, qualcuno fantastica di dare all’euro il ruolo di candidato alla successione del dollaro, se e quando il biglietto verde perderà lo scettro. Se solo fosse così semplice.
Oggi sul Financial Times c’è un editoriale della presidente della Bce, Christine Lagarde, che da sempre ama i temi alti e aulici e non intende farsi ingabbiare nel noioso recinto di semplice guardiana della stabilità monetaria dell’eurozona. Del resto, se Mario Draghi dipinge scenari di riforme esistenziali, perché chi gli è succeduto alla guida della Bce dovrebbe astenersi dall’esercizio? Non spieghiamo perché, è meglio.
L’euro globale di Lagarde
Vediamo invece il contenuto dell’editoriale programmatico di Lagarde, il “momento dell’euro globale”. Protezionismo, pensiero a somma zero e fratture nell’ordine commerciale globale sono una minaccia per l’Eurozona ma anche una opportunità, scrive Lagarde.
Aumentare lo status globale dell’euro porterebbe benefici tangibili: costi di prestito più bassi, ridotta esposizione alle fluttuazioni valutarie e isolamento da sanzioni e misure coercitive. Ma un simile passo verso una maggiore prominenza internazionale della nostra valuta non avverrà automaticamente: deve essere guadagnato.
Questa è l’unica certezza, direi. Per ora, osserviamo una crescente domanda di oro, che potrebbe diventare la nuova unità di conto dei regolamenti internazionali tra paesi. Come? Ad esempio attraverso la sua tokenizzazione e la creazione di uno stablecoin da esso garantito. Certo, ci sarebbe da risolvere il problema dei saldi bilaterali tra paesi. Nel senso che bisognerebbe valutare se procedere a periodico regolamento mediante spostamento dell’oro fisico oppure no. Un problema di praticità, diciamo.
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Prosegue Lagarde: perché l’euro raggiunga il suo pieno potenziale, l’Europa deve rafforzare tre pilastri fondamentali: credibilità geopolitica, resilienza economica e integrità legale e istituzionale.
Innanzitutto, la posizione globale dell’euro si basa sul ruolo dell’Europa nel commercio. L’Ue è il maggiore commerciante del mondo: è il partner numero uno per 72 paesi, rappresentando quasi il 40 per cento del Pil globale. Ciò si riflette nella quota dell’euro come valuta di fatturazione, che si attesta intorno al 40 per cento. L’Ue deve utilizzare questa posizione a suo favore, stringendo nuovi accordi commerciali. Il “privilegio esorbitante” di una valuta di riserva internazionale, citato da Valéry Giscard d’Estaing negli anni ’60, porta con sé responsabilità. Per evitare carenze di liquidità in euro all’estero, la BCE estende linee swap e repo ai partner chiave per garantire la trasmissione fluida della sua politica monetaria.
Tutto molto bello ma vediamo i dettagli. Oggi la Ue è il maggior partner commerciale del mondo essenzialmente grazie a un modello mercantilista centrato sulle esportazioni che è oggettivamente minacciato di estinzione: dal protezionismo di Trump e dalla logica dei blocchi, oltre che dal dumping cinese che spinge produzioni sulla frontiera tecnologica. La Ue è una realtà geopolitica frammentata, con 27 funzioni di utilità da interessi nazionali che costringono a compromessi al ribasso. Tutte cose già ripetute.
Quindi, non è affatto detto che l’approccio mercantilista Ue sopravviva. Quindi sì, da grandi poteri derivano grandi responsabilità, come avrebbe detto lo zio di Peter Parker, ma concedere linee di swap non è forse l’esempio più pregnante e suggestivo di quest’ultime. Ma per Lagarde l’Europa sta ricostituendo il suo hard power, quindi l’euro potrebbe essere premiato.
Tra fragilità e illusioni
Hard power che immagino sia quello militare. Ma, anche qui, siamo al riarmo nazionale in ordine sparso, anche per esigenze strettamente domestiche di sostituzione di settori declinanti, come è il caso tedesco con l’automotive. Inoltre, la forza militare di un blocco è la proiezione della sua unità politica. Cosa che la Ue non possiede, per definizione. Anche riuscire ad avere un esercito comune o una forza di intervento rapido sarebbe condizionato a processi decisionali che oggi appaiono molto difficoltosi, per usare un eufemismo. Forse il punto di approdo sarà la creazione di una forza militare comune difensiva, come quella missilistica. Il che va benissimo, per carità, ma per definizione non esprime una proiezione di potenza, perché c’è di mezzo l’ostruzione degli stati nazionali. Anche questo, detto più volte.
La forza economica è la spina dorsale di una valuta internazionale, dice Lagarde. Verissimo. Per questo servono tre pilastri: forte crescita, per attrarre investimenti; mercato dei capitali liquido e profondo, per supportare grandi transazioni; e ampia offerta del cosiddetto safe asset. Direi senza tema di smentita che queste tre condizioni preliminari sono cospicuamente assenti dal panorama Ue. Quindi siamo ancora in modalità vaste programme.
Peraltro, come osserva la stessa presidente della Bce, in Eurozona il 50 per cento dei debiti sovrani hanno rating almeno AA, mentre negli USA (finché dura) quel rapporto è oggi al 100 per cento. Qualcuno, ad esempio gli italiani, crede che il rating Ue sia destinato a essere tripla A per volere divino. In tal modo, il debito comune servirebbe a Roma per pagare meno. Bello, sarebbe.
Al grido di “ognuno per sé”, la Germania sfrutta la sua capacità fiscale per cercare di proteggere il suo benessere. Non può fare altrimenti ma molto può ancora andare storto, e i Bund potrebbero avere di fronte a sé un destino da Btp, anche se oggi i miopi pensano che il nostro debito sovrano sia diventato una sorta di spada nella roccia. Se si moltiplica il numero di eventi esterni che inducono a sospendere il patto di stabilità, su cui poggia l’intero edificio dell’euro, e se stiamo rapidamente arrivando al sopracitato “ognuno per sé e più disordine fiscale per tutti”, che ne sarà della moneta unica?
Che altro, Madame Lagarde? Il solito: riforma del processo decisionale con maggiore utilizzo della maggioranza qualificata e meno unanimità. Tutto molto condivisibile (almeno da me), ma resta la domanda: siamo sicuri che l’uso estensivo della maggioranza qualificata non vada a segare il ramo su cui è seduta la Ue, alimentando spinte di rigetto nazionalista nei casi in cui i paesi in minoranza debbano comunque assoggettarsi alle decisioni della maggioranza, pur se qualificata? Attenti a quello che desiderate, potrebbe avverarsi.
Lagarde conclude la sua lista dei desideri con una rivendicazione di orgoglio europeo:
La Ue non è facile da comprendere dall’esterno. Ma il suo processo decisionale strutturato e inclusivo garantisce controlli e bilanciamenti, stabilità e certezza politica. Il rispetto dello stato di diritto e l’indipendenza di enti chiave, come la BCE, sono vantaggi comparativi critici che l’Ue dovrebbe sfruttare.
Vero, ma se la Ue viene stritolata da Stati Uniti e Cina e si deindustrializza, o se non riesce a diventare una potenza di ricerca e sviluppo, potrà mai sopravvivere come “potenza normatrice”, cioè che intende indicare al mondo le norme e gli standard della salvezza, senza essere presa a pernacchie? Ho qualche serio dubbio al riguardo.
Forte sì ma non così
Da ultimo, fatemi fare una riflessione molto bottegaia: c’è questo desiderio per un “euro globale” che sia proiezione di potenza, anche se la base economica sottostante è vieppiù fragile. Ma se per caso (o per assurdo), l’euro diventasse esattamente quello, cioè attirasse capitali (non chiedetemi perché, prendetelo come ipotesi), e quindi si rivalutasse, vi immaginate i pianti greci dei produttori che supplicherebbero di fare qualcosa “perché l’euro forte ci sta uccidendo”? Ecco, senza volare troppo in alto e troppo vicino al sole con ali tenute assieme dalla cera, pensate solo a questa triste eventualità. Poi uscite dal letto.
Ma siate almeno lieti del fatto che Christine Lagarde resterà all’Eurotower sino a fine mandato, e non si sposterà al World Economic Forum a prendere il the coi pasticcini. Ci sono ancora euro-patrioti, dopo tutto.
Photo by Bohao Zhao, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons



