Il futuro italiano delle pensioni francesi

In audizione al senato, la ministra francese del bilancio, Amélie de Montchalin, ha fornito un’indicazione sugli obiettivi di bilancio del governo per il 2026. A legislazione invariata, le spese totali per il prossimo anno ammontano a 1.750 miliardi di euro. “Dovremmo invece essere a 1.710 miliardi di euro per raggiungere il nostro obiettivo di deficit”, ha detto la ministra.

Taglio reale più profondo dell’apparenza

In altre parole, per ridurre il prossimo anno il deficit pubblico al 4,6 per cento, dal 5,4 per cento di quest’anno, l’esecutivo intende ridurre la spesa pubblica (Stato, enti locali e Sicurezza sociale) di 40 miliardi di euro rispetto al tendenziale. Importo già peraltro indicato dal ministro dell’Economia, Eric Lombard, a metà aprile. Si tratterebbe di un aumento nominale dello 0,9 per cento rispetto sul preventivo 2025, a fronte di una inflazione francese 2026 prevista a 1,4 per cento.

Non sarebbe la prima volta che i governi francesi tagliano la spesa reale: era accaduto nel 2015 (quando il presidente François Hollande ridusse tra l’altro i trasferimenti agli enti locali), nel 2018 (quando il primo ministro Edouard Philippe frenò le spese per compensare le riduzioni fiscali del primo quinquennio Macron) e nel 2023 (grazie alla rimozione delle misure eccezionali di sostegno post-Covid e crisi energetica).

Un taglio della spesa pubblica in termini reali dello 0,5 per cento sembra poco fin quando non si considera che la spesa per interessi è incomprimibile, e nel 2026 è attesa toccare gli 80 miliardi di euro, ben 12 più di quest’anno. Poi c’è l’aumento del bilancio della Difesa, di 3,2 miliardi, e il contributo francese alla Ue, che il prossimo anno crescerà di ben 7,3 miliardi di euro. Quindi sono 23 miliardi di spese aggiuntive ineludibili, oltre alla pressione della spesa sanitaria in un paese che invecchia.

Cioè, il governo punta a tagliare 15 miliardi di spesa ma fronteggia aumenti vincolati per 23. Ed è privo di maggioranza parlamentare. Il che vuol dire che, escludendo Difesa e spesa per interessi, gli altri capitoli di spesa pubblica dovranno subire riduzioni in termini reali ben più pesanti dello 0,5 per cento medio previsto. E anche così, tutto questo sangue servirebbe a ridurre l’incidenza della spesa pubblica francese su Pil ad un ancor pesante 56 per cento.

Blocco della spesa nominale

Che fare, quindi, mentre il “conclave”, come è stato ribattezzato, delle forze sociali per riformare la riforma delle pensioni di Macron, che le ha innalzate da 62 a 64 anni, si è risolto in una fumata nera e il Partito socialista minaccia una mozione di censura che tuttavia il Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella pare non disposto a votare, rimandando la resa dei conti all’autunno, col bilancio?

Una situazione oggettivamente pesantissima. Da qualche tempo, nel dibattito politico francese gira il concetto di “anno bianco” per recuperare gli “anni neri” dell’ubriacatura di spese. Si tratta, brutalmente, del congelamento integrale della spesa ai livelli nominali dell’anno precedente. Quindi, ben oltre l’ipotesi di deindicizzazione parziale. Colpirebbe ad esempio gli scaglioni d’imposta, attivando il fiscal drag e gonfiando le casse dello stato. Le stime ipotizzano che il blocco delle spese produrrebbe tra 15 e 25 miliardi di euro. Quello degli scaglioni d’imposta e di contribuzione ne darebbe altri 3. Ricordiamo che, in base alla “traiettoria tecnica” concordata con la Commissione Ue, le spese primarie nette francesi, cioè escludendo gli interessi, nel 2026 non devono crescere oltre lo 0,7 per cento.

Qualcuno, non è chiaro se per ingenuità, cinismo o incapacità a far di conto, aveva suggerito uno scambio tra un intervento di ammorbidimento delle condizioni di pensionamento e il blocco di alcune spese. A parte che servirebbe quantificare entrate e uscite, non certo per il solo 2026, ma come minimo il rischio è quello di una partita di giro. Ben più probabile, per recuperare soldi, un intervento di deindicizzazione delle pensioni sul tipo di quello fatto dal governo Meloni durante la crisi inflazionistica. Basta dire che “pagheranno quelli che stanno meglio”, e si resta tranquilli per qualche settimana.

Questa è la situazione francese, dunque: a caccia di 40 miliardi di tagli veri, cioè non di aumenti di entrate presentati come tagli, con una spesa pubblica che ormai mangia quasi il 60 per cento del Pil, un governo di minoranza, una crisi sociale e costituzionale, una presidenza che si sforza di credere che il paese sia un peso massimo internazionale e l’erede di un impero, forse per il possesso di testate nucleari. Ma la vera bomba atomica, nel cuore dell’Europa, rischia di essere la Francia.

Intanto, il Rassemblement National si frega le mani, in modalità Nigel Farage, rilanciando “coperture” di pura fantasia, come la sospensione dei contributi francesi alla Ue. Conviene ne approfittino: alla fine della loro ricreazione potrebbe mancare davvero poco.

  • Aggiornamento – Vista la materiale impossibilità a ristabilire lo status quo ante, cioè pensioni a 62 anni, Bayrou tenta la carta italiana: uscite anticipate per lavori onerosi, contribuzione figurativa per le madri e, soprattutto, impegno a rendere il sistema pensionistico finanziariamente sostenibili entro il 2030, senza la minima indicazione di come. Vi ho già detto che non s’inventa nulla, vero?

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