Infuria il dibattito pubblico francese sulla legge di bilancio del prossimo anno. Il premier designato, Sébastien Lecornu, sta cercando la quadratura del cerchio, cioè di portare a casa almeno l’astensione socialista. Per ottenere ciò, pare scontato servirà una nuova spremuta fiscale, di quelle che azzopperanno ulteriormente la crescita francese: risciacqua e ripeti. Perché avere una spesa pubblica al 57 per cento del Pil evidentemente non è abbastanza.
Tassa Zucman e patrimoni aziendali
Sotto i riflettori c’è la cosiddetta Tassa Zucman, dal nome dell’economista che la propone: due per cento annuo dei patrimoni eccedenti i cento milioni. Gettito annuo stimato da Zucman: circa 15 miliardi di euro. Il primo punto: includere nel totale patrimoniale i beni d’impresa? Se sì, come produrre liquidità per pagare l’imposta?
Se la risposta alla prima domanda è affermativa, le vittime designate sono le startup, che sono pesantemente illiquide ma, se di successo, toccano valutazioni molto elevate nei cosiddetti round di finanziamento. Sotto i riflettori francesi c’è oggi soprattutto Mistral AI, gioiello dell’intelligenza artificiale d’Oltralpe, che ha appena visto l’ingresso come azionista principale degli olandesi di ASML, produttori di macchinari per la manifattura di chips, portandone il valore a circa 12 miliardi di euro. Uno dei suoi tre fondatori, Arthur Mensch (ex Google DeepMind), ha dichiarato che non potrebbe pagare per mancanza di cash ma non ha alcuna intenzione di andarsene perché a sua volta sente l’esigenza di una profonda riflessione nazionale sul tema della giustizia fiscale.
In attesa di trovare la quadra su questo punto, ha fatto sentire la propria voce il francese Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale. Che su X ha suggerito di pagare l’imposta con azioni prive di diritto di voto, e rendere in tal modo lo stato azionista passivo. Delle startup e non solo. Tutto molto bello, inclusa la considerazione che lo stato è già “azionista” attraverso l’imposta sulle società, e che in questo modo si alimenterebbe un fondo sovrano.
Anche accettando il principio, Blanchard sa che allo stato francese servono soldi: molti, maledetti e subito. Non azioni che non potrebbe liquidare immediatamente e che porterebbero con sé una elevata alea di redditività futura, pur se potenzialmente elevata.
In attesa di capire se e come la Tassa Zucman verrà applicata, magari dietro verosimile depotenziamento tale da abbatterne il gettito (ad esempio, esentando i beni d’impresa), è aperto il grande concorso per i migliori ingegneri fiscali disperati transalpini. Ho deciso di segnalarvi alcuni spunti perché non si butta via nulla, perché la similitudine con gli anni bui della nostra crisi di debito sovrano è sempre più inquietante e perché tale è il nostro provincialismo che sono certo molti dei nostri attivissimi rappresentanti popolari si ingegneranno a rilanciare le proposte d’oltre confine al solito grido “Facciamo come [inserire nome a piacere]!”
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Andiamo con ordine. Dovete sapere che, in Francia, si usano acronimi con grande voluttà. Per istituzioni, dipartimenti, centri studi, comitati, imposte. Acronimi ovunque. Uno di essi, rappresentativo di un’emanazione della Corte dei conti, il Consiglio dei Prelievi obbligatori (CPO), ha pubblicato ieri un rapporto dove invita a dare stabilità e prevedibilità alla pressione tributaria e contributiva sulle imprese, meglio se in un quadro di progressiva riduzione. Vaste programme, per dirla con un illustre francese del passato.
Ridurre il prelievo sulla produzione
A dire il vero, i precedenti governi avevano cercato di andare in questa direzione, su impulso di Emmanuel Macron. Ad esempio, prevedendo un percorso di riduzione fino a estinzione della CVAE (Contribuzione sul valore aggiunto d’impresa) che è una gabella che morde anche in assenza di utili e pesa sulla produzione. Per motivi di bilancio, l’inizio di quel percorso è stato rinviato prima al 2024, poi al 2027 per concludersi (forse) nel 2030.
Altro esempio: l’imposta sulle società (IS), il cui tasso è stato ridotto nel 2016 dal 33,33 per cento al 25 per cento per avvicinarsi alla media dei paesi sviluppati. Ma da un lato questo tasso è storicamente volatile – il suo periodo più lungo di stabilità è stato di quattro anni dal 2000 – contro sedici anni in Germania o venti anni in Polonia. E soprattutto, nel 2025, è stata aggiunta una “contribuzione eccezionale sulle grandi imprese”, portando temporaneamente questo tasso sopra il 30 per cento per i gruppi con un fatturato superiore a 1 miliardo di euro (oltre il 35 per cento oltre i 3 miliardi).
Ora bisogna decidere se rinnovare questa addizionale per il 2026. E sarebbe meglio di no. Ma servono 8 miliardi di euro. Nel suo rapporto, il CPO auspica una programmazione quinquennale che fissi un menù e un tetto ai prelievi tributari e contributivi, per dare certezze alle imprese. Come non averci pensato prima?
La seconda serie di raccomandazioni del CPO, consiste nel continuare le riduzioni delle tasse sulle produzioni, nel solco della strategia di Emmanuel Macron. Dovendo operare una scelta, invece di eliminare completamente la CVAE come previsto dall’esecutivo, il rapporto raccomanda di abolire un’altra tassa, la C3S (contributo sociale di solidarietà delle società). Il costo della misura sarebbe un po’ più elevato (5,4 miliardi di euro per la C3S, contro 4 miliardi per la CVAE), ma questo secondo tributo è considerato più penalizzante per l’industria poiché grava sul fatturato e ha effetti a cascata ad ogni transazione. Come si nota, ci sono tanti acronimi quante assurdità fiscali. Ormai sdoganato il prelievo sul fatturato, da lì è tutta discesa. Nel senso di declino.
Ma quali coperture usare, per questo disperato tentativo offertista di sgravare la produzione? Il rapporto suggerisce di eliminare i vantaggi fiscali e sociali per le ore straordinarie (esenzioni dai contributi sociali – sia a carico del datore di lavoro che del lavoratore – e esenzione dell’imposta sul reddito fino a 7.500 euro), ritenuti costosi e inefficaci. Secondo il CPO, questo compenserebbe integralmente l’eliminazione della C3S e potrebbe portare fino a 1 miliardo di euro all’industria francese (4 miliardi a tutte le imprese).
Avete notato qualcosa, qui? Io sì. Mentre in Italia la maggioranza vorrebbe buttare soldi nella detassazione degli straordinari, in Francia qualcuno suggerisce di fare il percorso inverso e liberare risorse per ridurre gli oneri fiscali sulla produzione. Si tratta del famigerato (per gli italiani) concetto di costo opportunità. Visto che le condizioni di elevata onerosità delle produzioni d’impresa sono maledettamente simili, in Italia e Francia, forse dalle nostre parti qualcuno dovrebbe fare una riflessione.
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In Francia, è improbabile che tali utili suggerimenti vengano accolti, visto che tutto il paese è impegnato a dibattere su come far piangere i ricchi, veri e presunti. Ad esempio, l’attuale imposta sostitutiva sui redditi di capitale in Francia si situa ad un elevato 30 per cento, di cui il 12,8 per cento a titolo di imposta sui redditi e il 17,2 per cento a titolo di contribuzione sociale. Ricordo che, in Italia, tale aliquota è del 26 per cento ordinario e del 12,5 per cento agevolato su titoli di stato e assimilati, oltre che senza distinzione -credo- tra prelievo tributario e contributivo. Ops, ho forse dato uno spunto?
Lo scorso autunno, durante il governo di Michel Barnier, l’Assemblea nazionale aveva votato a favore di un emendamento del MoDem (il partito di François Bayrou), che portava la “flat tax” sui redditi di capitale al 33 per cento, con un gettito di 800 milioni. Ma quell’emendamento alla fine non divenne un articolo della legge di bilancio 2025.
Tutte queste proposte si riconducono all’eterno conflitto tra scelte di policy: tra chi cerca risorse per sostenere la domanda, e chi le cerca per stimolare l’offerta. In Francia, il mainstream è palesemente “domandista”, da sempre.
Continua, potete scommetterci. La fantasia gabelliera non è una risorsa scarsa.
(Immagine creata con ChatGPT)



