Oggi, sul Corriere, un commento del professor Francesco Giavazzi sul circolo tossico-vizioso di banche alle prese con l’esplosione delle sofferenze, che a loro volta determinano una stretta del credito ed un ulteriore aumento delle sofferenze medesime. Serve ripulire i bilanci bancari una volta per tutte, sostiene Giavazzi: diversamente andremo incontro ad un avvitamento mortale, ed occorre in seguito ricapitalizzare le banche, per fare ripartire la concessione di credito. Per fare ciò occorre scardinare gli attuali assetti proprietari, se necessario. E’ tutto condivisibile, ma ci sono delle criticità di esecuzione così elevate da rendere questo programma un vaste programme, ed anche un po’ velleitario. Ma, soprattutto, serve una riflessione sul flusso causale: verrà prima l’uovo o la gallina?
L’editoriale comincia con una considerazione raggelante: se e quando ripartirà la domanda dalla locomotiva tedesca (visto che sono le imprese di quel paese quelle che possono fare l’andatura), le nostre imprese rischiano di non riuscire ad intercettare la ripresa, perché prostrate e dissestate dall’assenza di credito, e dal crollo dell’autofinanziamento indotto dall’evaporazione della domanda, a cui assistiamo da almeno due anni. Niente credito, niente ripresa, un tessuto produttivo desertificato che genera la ormai famigerata isteresi.
E perché le banche italiane lesinano il credito? Secondo Giavazzi ciò accade perché i nostri istituti sono troppo poco capitalizzati, conseguenza di assetti proprietari in cui gli azionisti di controllo (quasi sempre le fondazioni) non hanno soldi da mettere nella banca conferitaria ma vogliono solo estrarne, per le proprie attività “filantropiche” sul territorio. E’ vero che le nostre banche sono sottocapitalizzate, o meglio hanno un rapporto squilibrato tra prestiti e depositi, così come accade in ampia parte d’Europa, soprattutto nella marcia d’avvicinamento a Basilea III e dopo gli stress test dell’Eba.
Non si può pensare di ricapitalizzare, sostiene Giavazzi, finché le banche avranno in pancia queste sofferenze:
«Pensare di aumentare il capitale delle nostre banche, sottocapitalizzate e piene di prestiti andati a male, attirando nuovi investitori, è un’illusione»
Proprio così. Ma cosa servirebbe, quindi? Ad un primo livello, come sempre accade in paesi devastati da una crisi finanziaria, serve ripulire i bilanci delle banche da tutti i crediti andati a male. Ciò serve ad evitare di avere delle “banche zombie”, o affette da “sindrome giapponese”, cioè che non prestano all’economia perché si trovano in portafoglio crediti inesigibili ma che si finge siano performanti. Per ottenere questa ripulitura serve lo stralcio di tali crediti al loro realistico valore di realizzo e/o la possibilità di fare forti accantonamenti a perdite su crediti, in esenzione d’imposta. La Banca d’Italia sta forzando le banche a dare una valutazione realistica del proprio portafoglio crediti, oltre che delle garanzie immobiliari che spesso assistono tali prestiti. Ciò si tradurrà in un forte aumento degli accantonamenti a perdite su crediti, e in perdite di bilancio, che a loro volta richiederanno aumenti di capitale. E non se ne esce.
Giavazzi propone lo stralcio di tali crediti non performanti, ad esempio attraverso la creazione di titoli di debito strutturato simili ai collateralised debt obligations, da vendere in giro per il mondo ad investitori specializzati (inclusi i vulture funds, “fondi avvoltoio”, che hanno un preciso compito, nell’ecosistema finanziario, al netto dello sdegno moralistico di qualcuno), ma il problema resta sempre quello: quanto valgono realmente questi crediti andati a male? Probabilmente meno, molto meno del loro valore corrente netto di bilancio. Ancora una volta, possiamo fare un intervento di chirurgia demolitoria per poi ricostruire, ma chi mette soldi e capitale nelle banche di un paese il cui Pil continua a contrarsi e che di conseguenza continua a vedere un aumento dei prestiti che vanno in malora?
Dire che “tutto ha un prezzo”, e che di conseguenza la ricapitalizzazione delle banche potrebbe avvenire a forte sconto, al limite dello spazzare via gli attuali gruppi di controllo, è dire qualcosa di assai poco realistico. Spesso i gruppi di controllo bancari resistono sino alle soglie del dissesto delle banche medesime, e pure oltre. Che facciamo, quindi, ordiniamo per legge aumenti di capitale senza diritto di opzione per gli attuali azionisti? Chi è nato prima, l’uovo o la gallina? In altri termini, è realistico ripulire i bilanci delle banche se il contesto congiunturale resta pesantemente tossico oppure prima stabilizziamo la congiuntura, per stoppare il processo di ammaloramento dei crediti, e dopo procediamo a ripulire i bilanci e fare entrare nuovi azionisti, anche esteri? Non è una questione di lana caprina, e soprattutto c’è di mezzo la realtà, visto che la prima via appare palesemente illusoria o più propriamente onirica.
Giavazzi segue invece proprio la prima ipotesi di lavoro, quella della ripulitura “senza se e senza ma”, cioè a prescindere dal contesto congiunturale, credendo che tale contesto sia così danneggiato solo a causa del credit crunch. Che in realtà è concausa. Serve forse un po’ più di realismo. Giavazzi sa o dovrebbe sapere che le operazioni di ripulitura dei bilanci dai bad loans avvengono tipicamente all’uscita dalle fasi recessive, è sempre stato (intuitivamente) così. Ma il tempo degli esercizi intellettuali sta per scadere. In tutto questo discorso, abbiamo una sola certezza: chi afferma che le banche “guadagnano togliendo il credito a famiglie ed imprese”, non ha capito davvero nulla di questa tragedia.