Ieri, nel clima di “celebrazioni”, riflessioni e buoni propositi per il Primo Maggio, abbiamo notato un episodio apparentemente minore ma paradigmatico del problema di comunicare ai cittadini le scelte e gli effetti di alcune iniziative governative. Tutto si riconduce all’esistenziale domanda: un mancato aumento è una riduzione?
L’occasione è stata fornita da un tweet del professor Tommaso Nannicini, già collaboratore della presidenza del Consiglio con Matteo Renzi, considerato una dei demiurghi delle riforme del mercato del lavoro. Poiché dovrebbe essere Primo Maggio anche per i lavoratori autonomi, che invece secondo la vulgata mainstream sono solo degli spregevoli evasori fiscali. Rispondendo ad un tweet di Oscar Giannino, Nannicini ha enumerato quanto fatto sin qui per le partite Iva:
Beh, 8 punti in meno cuneo contributivo, regime fiscale agevolato <30k e statuto lavoro autonomo (inimmaginabile 2 anni fa) quasi approvato
— Tommaso Nannicini (@TNannicini) May 1, 2017
Ora, a parte il “quasi approvato” dello statuto del lavoro autonomo (per approfondimenti è utile leggere questo commento di Dario Di Vico), e a parte il nuovo-vecchio regime dei minimi, che ha visto la luce dopo innumerevoli assurdità partorite dal governo Renzi, il punto sugli “otto punti in meno di cuneo contributivo” degli autonomi ha suscitato vivaci contestazioni di alcuni follower di Nannicini, alcuni dei quali peraltro non sono esattamente sprovveduti della materia, per usare un eufemismo. L’ordinario della Bocconi si è “difeso” attaccando, ed argomentando in questo modo:
cuneo contributivo p.iva non ordiniste sceso a regime dal 33 al 25: https://t.co/ilDj0ulaXt
— Tommaso Nannicini (@TNannicini) May 1, 2017
Ecco, questo è il punto. Vediamo di capire. La legge Fornero ha disposto, per i “lavoratori autonomi, titolari di posizione fiscale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, iscritti alla gestione separata INPS e che non risultano iscritti ad altre gestioni di previdenza obbligatoria né pensionati”, un graduale aumento della aliquota pensionistica, fino al raggiungimento del 33% nel 2018, per garantire l’equilibrio finanziario dell’Inps. Per evitare questo ennesimo massacro, il governo Renzi ha deciso di procedere alla sterilizzazione degli aumenti. Si partiva da un’aliquota del 27%, più lo 0,72% destinato al finanziamento delle indennità di maternità, agli assegni per il nucleo familiare, alla degenza ospedaliera, alla malattia e al congedo parentale. Con la Legge di Stabilità 2017, il governo ha disposto la riduzione di due punti percentuali dell’aliquota contributiva, al 25%, ed ha sterilizzato il previsto aumento al 33% nel 2018.
Da qui origina la frase di Nannicini sulla “riduzione” di otto punti percentuali del cuneo contributivo degli iscritti alla gestione separata Inps. Si tratta di una platea di contribuenti stimata in circa un milione di persone (e di voti, oltre ai familiari). Parliamo di un mancato aumento. Possiamo affermare che si tratti di una riduzione? Secondo Nannicini sì, perché parliamo comunque di impieghi alternativi di risorse:
sono in disaccordo: quelle risorse di bilancio (8 punti) sono state tolte da altri impieghi e sono risorse vere. realtà pol economica è qs
— Tommaso Nannicini (@TNannicini) May 1, 2017
Il ragionamento di Nannicini ha certamente senso, e non solo in contabilità pubblica. Questo è il concetto di costo-opportunità, che di solito in questo paese tende ad essere paciosamente ignorato dalla politica. E dallo stesso Renzi in modo eclatante, se consideriamo l’adozione di misure assai poco razionali come l’eliminazione dell’imposizione sulla prima casa, che aveva tra i costi-opportunità la riduzione del cuneo fiscale, per dipendenti ma anche per autonomi. Per non parlare degli 80 euro, eccetera. Oltre a tenere presente che questo coacervo di impieghi non ha copertura puntuale ma spesso finisce ad essere finanziato a deficit, con la famosa richiesta di “flessibilità” alla Ue.
Ma, ancora una volta: a parte le modalità di copertura, possiamo affermare che un mancato aumento equivale ad una riduzione? Sì e no. Se compariamo il quadro tendenziale con quello programmatico, possiamo dire che il governo ha evitato un aumento ed attuato una riduzione effettiva ma di due soli punti percentuali, dal 27 al 25%, dell’aliquota contributiva. L’iniziativa è stata certamente opportuna, per evitare un salasso agli autonomi. Ma le riduzioni vere sono quelle che impattano nel presente sulle tasche dei contribuenti, non altre. Brutale e forse ingeneroso verso l’esecutivo ma è così. Che poi la narrazione non sarebbe altrettanto efficace parlando di “mancato aumento”, è del tutto evidente. Ma nel mondo del relativo non si va troppo lontani, come dimostra anche il caso dello “sconto” sull’aumento Iva previsto per il prossimo anno, che qualcuno ha pensato bene (per superficialità o altro?) di spacciare per “riduzione“. Non è esattamente il caso citato da Nannicini, ma le parole continuano ad essere importanti.
Poi, quando capiremo che anche i lavoratori autonomi non sono carne da cannone fiscale e contributiva, e che meritano la stessa attenzione che, almeno a livello “morale”, viene destinata ai dipendenti, avremo fatto un grande passo avanti verso la civiltà.