Sulla scalata lanciata da MPS a Mediobanca, e che sta facendo grattare la testa agli analisti (tranne a quelli, non identificati, che secondo il quotidiano di proprietà di uno dei soggetti interessati alla scalata ne sarebbero entusiasti), segnalo il commento su Domani di Alessandro Penati. Uno che, nel caso di specie, conosce ciò di cui parla.
Una scalata rovesciata
Premesso che, appunto, si tratta di una scalata “invertita”, un reverse takeover dove la parte debole tenta l’assalto a quella più robusta, ci sono altre considerazioni da fare. Intanto, è apparso da subito evidente che l’obiettivo è quello di realizzare un bel filotto che parte da MPS, il Lazzaro del credito italiano, passando non per Madre Teresa ma per Mediobanca, arriva a Generali, il pezzo pregiato che ha annunciato l’aggregazione coi francesi di Natixis nell’asset management, creando un gruppo europeo da 1.900 miliardi di attivi.
Un’aggregazione che ha già fatto arruffare le penne ai patrioti, che temono che Generali possa smettere di assorbire i patri Btp. Che oggi però ha in pancia per soli 37 miliardi, contro gli 80 di picco degli anni della crisi. Tralasciando che i Btp si comprano se appaiono remunerativi e sicuri, e non per vincolo di portafoglio nazionale (non ancora, almeno), ecco i commenti di Penati, con mie note a margine.
Intanto, il filotto serve a Francesco Gaetano Caltagirone e a Delfin (eredi Del Vecchio, guidati da Francesco Milleri), presenti nei tre snodi finanziari della vicenda, per diventare il nuovo architrave della finanza italiana. Il Tesoro, ancora azionista di MPS con circa 11 per cento, parteciperebbe al domino e la politica potrebbe affermare di tornare nell’azionariato di magna pars della finanza nazionale. A barricata invertita, passiamo dal fassiniano “ma allora abbiamo una banca?” (Unipol-BNL), a “ma allora abbiamo due banche e un’assicurazione?”
Vedremo. La merchant bank di Palazzo Chigi, irritata dopo che l’Unicredit di Andrea Orcel ha stoppato il progetto di fare di BancoBPM il terzo polo bancario italiano (definizione che porta una sfiga terribile, quanto e più di auguri fatti da Matteo Salvini), e che stava tranquillamente cedendo sul mercato la quota di MPS, diventa giocatore attivo.
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I had a dream
Nessuno dica che il governo, col MEF, va al traino del disegno di due investitori privati, mi raccomando. Perché il Grande Risanatore di MPS, il banchiere di lungo corso ed esperienza Luigi Lovaglio, già nel remoto 2022, quando lo stato dovette guidare l’ennesima ricapitalizzazione della banca senese per evitarle nuovi guai, aveva già sussurrato all’orecchio di Giancarlo Giorgetti di “avere un sogno”, alla Martin Luther King: MPS che si mangia Mediobanca. E senza Alka Seltzer.
L’aruspice Lovaglio, quindi, ha catalizzato l’interesse di tre azionisti pesanti tra cui il MEF e ora parte lancia in resta verso Mediobanca, che da molto tempo non è più banca d’investimento come ai bei tempi di Enrico Cuccia ma si è trasformata in un private banking, anzi in un wealth management, così non si offendono. Ma, scrive Penati, la critica a Mediobanca da parte di Caltagirone e Delfin (CD) era in origine proprio quella di aver abdicato dal ruolo di banca d’investimento di respiro europeo:
Mediobanca è sempre stata criticata da CD per non essere stata capace di sviluppare l’investment banking all’estero, mentre l’Opa la trasformerebbe in una tradizionale banca commerciale focalizzata sulla raccolta dei depositi, la distribuzione di prodotti finanziari e l’erogazione dei prestiti tramite una rete radicata sul territorio nazionale: evidentemente era una critica pretestuosa.
Credo anch’io, si parva licet. Poi c’è questo bizzarro reverse takeover, dal debole al forte, che penalizza gli azionisti del debole:
Non si è mai visto che una società che vale 70 per cento del patrimonio (pre Ops) scali una che ne vale 120 con un’offerta interamente in azioni: per i soci di Mps, e quindi anche per il Tesoro, significa infatti subire una perdita dovendo pagare con “moneta” svalutata l’acquisto di una “cara”.
Predatore debole
Qui non c’è avviamento negativo (badwill) della preda da portare a incremento del capitale del predatore, come fece Intesa Sanpaolo acquisendo Ubi Banca. Qui è il predatore che vale meno, una leva svantaggiosa. Le metriche sono di palmare evidenza, riassume Penati: MPS ha minore redditività attesa sul capitale tangibile (10 per cento contro 13,5), margine di interesse più basso (1,9 per cento contro 2,7), costo del debito più elevato (133 punti il credit default swap a 5 anni contro 53), maggiore esposizione al rischio di credito in Italia (78 miliardi contro 54). Tutto ciò precipita nella sintesi estrema, alla base del concambio, di un rapporto prezzo/utili a sconto del 20 per cento.
E gli effetti del primo giorno di contrattazioni si sono visti:
Stando ai prezzi di chiusura di Borsa, l’Ops ha creato nel solo primo giorno un trasferimento di valore dai soci Mps a quelli di Mediobanca complessivamente di 1.600 miliardi: 580 milioni in meno per quelli di Mps, e un miliardo in più per quelli di Mediobanca. Ovvero una perdita potenziale di 68 milioni per il Tesoro in un solo giorno, ma un guadagno di ben 173 per CD, poiché sono sì soci di Mps, col 15 per cento, ma hanno anche il 29 di Mediobanca: un bel regalo a spese del contribuente; a cui si aggiungono i 2,9 miliardi di Deferred Tax Assets, ovvero le minori imposte future che lo Stato incasserà, con cui Mps vuole finanziare l’Ops.
C’è un prezzo per tutto, certamente. E, come dice Giorgia Meloni, è un’operazione di mercato. Che il mercato potrebbe bocciare, almeno nella sua configurazione attuale. Ma ogni rilancio da parte di MPS rischierebbe di destabilizzare nuovamente i senesi, e con essi i contribuenti italiani. Per ora mi limiterei a considerare il rischio di un’operazione, costruita in modalità scatole cinesi e catena di controllo lunga, che indebolisca strutturalmente una grande parte del sistema finanziario nazionale.
Poi, posso comprendere l’esigenza: evitare che la concentrazione europea releghi l’Italia a terra di conquista. Ma anche costruire fortificazioni con sabbia prima di un’onda di marea rischia di causare molti più danni della calata dello Straniero a sud delle Alpi.
Attenti ai franzosi
Attendiamo e vediamo, quindi, magari “divertendoci” con le dichiarazioni dei politici, che si schierano. Ieri, sul Messaggero, giornale che scorda sempre di ricordare ai lettori chi è il suo editore, c’era un’intervista a Carlo Calenda, che ha rimarcato che occorre fare attenzione ai franzosi, che fanno sistema. Utilizzando anche i loro infiltrati in Italia. Come ad esempio, il Ceo di Generali, il francese con passaporto italiano Philippe Donnet. Che, secondo Calenda, ha già dato prova di ostilità nei confronti del Belpaese. Volete sapere come?
Ho un’esperienza personale. Generali era azionista di Alitalia, e quando serviva tenerla in volo perché stava fallendo non rispondeva neanche al telefono.
E dopo questa pistola fumante del complotto franzoso di Donnet ai danni dal Belpaese, mi tocca aggiornare la massima che uso da tempo. Saremo colonizzati (esito positivo) o falliremo (esito negativo) ma almeno divertendoci.



