L’illusione di occhio per occhio, dazio per dazio

Dopo l’annuncio di tariffe universali (cioè senza esenzioni o quote) del 25 per cento su acciaio e alluminio, ora il mondo che commercia con gli Stati Uniti attende che Donald Trump comunichi le “tariffe reciproche”. Che dovrebbero funzionare più o meno così: in un dato settore merceologico, gli americani mettono una tariffa pari a quella che gli altri paesi adottano nei confronti delle stesse merci importate dagli USA.

Messa così, pare molto semplice, lineare e finanche ragionevole, da parte di Trump. Solo che le cose continuano a non voler essere semplici. Intanto, in ogni settore non c’è un solo prodotto indifferenziato ma una molteplicità di prodotti, a volte migliaia, spesso trattati a tariffe differenziate. Su tutto, come vedremo, grava una ineliminabile dimensione politico-elettorale.

Trump il Reciproco

Il concetto di reciprocità si rinviene nel programma di Trump ed è visibile nel suo sito, nella sezione Agenda47 (come il numero dell’attuale presidente) col nome di “Trump Reciprocal Trade Act“. Leggendo quella pagina si comprendono molte cose, soprattutto quello che Trump non ha sinora compreso sulle tariffe, o sulla sua credenza che le tariffe siano uno strumento di arricchimento degli Stati Uniti, come ai bei tempi andati. Molto andati. Ma andiamo con ordine.

Nelle parole di Trump, grassetto corsivo mio:

Sotto il Trump Reciprocal Trade Act, gli altri paesi avranno due opzioni: eliminare i loro dazi su di noi, oppure pagarci centinaia di miliardi di dollari, e gli Stati Uniti guadagneranno una fortuna assoluta. Se India, Cina o un altro paese ci colpisce con un dazio del 100 o del 200 per cento sui beni prodotti negli Stati Uniti, noi li colpiremo con lo stesso identico dazio. In altre parole, il 100 per cento è 100 per cento. Se ci fanno pagare, noi facciamo pagare loro: occhio per occhio, dazio per dazio, stesso identico importo.

Se un paese straniero impone un dazio sui beni prodotti negli Stati Uniti che è superiore al dazio imposto dagli Stati Uniti, il presidente Trump avrà l’autorità di imporre un dazio reciproco sui beni di quel paese, si afferma.

Per garantire equità, la Legge darà al Presidente Trump il potere di negoziare la riduzione delle tariffe sui beni esteri se i paesi stranieri accettano di ridurre le loro tariffe sui beni americani. Il Trump Reciprocal Trade Act metterà L’AMERICA AL PRIMO POSTO e continuerà il successo commerciale senza precedenti del Presidente Trump, che ha ridotto il deficit commerciale americano, è aumentato i salari e creato più di mezzo milione di nuovi posti di lavoro nel settore manifatturiero.

Ottima idea, oppure no

Messa in questi termini, sembra quasi un’idea da perseguire, soprattutto da parte dei sostenitori del libero commercio. E infatti, ci stavo quasi per cascare a mia volta. Sin quando ho letto l’analisi dello specialista di commercio internazionale del Financial Times, Alan Beattie, che spiega dove sta il problema:

Secondo i calcoli per il FT del Global Trade Analysis Project (GTAP) della Purdue University, i prodotti lattiero-caseari neozelandesi subiscono una tariffa media del 14 per cento (l’industria lattiero-casearia neozelandese stessa sostiene che sia un po’ più alta) sulle vendite negli Stati Uniti, il terzo mercato lattiero-caseario al mondo dopo l’India e l’Ue. La Nuova Zelanda mantiene tariffa zero su quasi tutte le sue importazioni di latticini. Il secondo stato produttore di latte dopo la California è il politicamente sensibile Wisconsin. È improbabile che Trump (e certamente il Congresso) voglia pareggiare con la Nuova Zelanda riducendo le sue tariffe a quasi nulla ed esponendo gli agricoltori lattiero-caseari degli swing state a una concorrenza a basso costo.

Una situazione simile riguarda il Brasile, un esportatore super competitivo, che applica tariffe sullo zucchero grezzo americano di circa il 16 per cento, secondo i calcoli del GTAP, e che potrebbe ridurre se ciò consentisse di sbloccare l’accesso al mercato in altri ambiti. Gli Stati Uniti, che hanno un sistema di quote e tariffe, impongono dazi sulle esportazioni brasiliane del 44 per cento. I produttori di canna da zucchero della Florida sono notoriamente lobbyisti temibili.

Credo sia tutto molto chiaro. A meno di ipotizzare che Trump possa riuscire nel miracolo di ignorare le proteste di potenti lobby elettorali statunitensi, ovviamente. Per quanto a Trump manchi solo – per ora – di camminare sulle acque, questo meritorio esito di un presidente che abbatte i dazi perseguendone l’aumento, in una sorta di “escalate to de-escalate“, appare improbabile.

Soprattutto perché Trump insiste sull’applicabilità ai giorni nostri dell’età dell’oro in cui i dazi arricchivano l’America. Al punto da scriverlo nel suo sito, dopo aver presentato il Trump Reciprocal Trade Act:

La Legge sul Commercio Reciproco di Trump ha una ricca storia di precedenti nella storia americana. Storicamente, gli Stati Uniti hanno imposto tariffe su oltre il 95 percento di tutte le importazioni, con una tariffa media del 37 percento sulle importazioni durante la crescita economica americana tra il 1816 e il 1947. Per decenni, il governo degli Stati Uniti ha ricevuto oltre l’80 per cento delle sue entrate attraverso le tariffe sui beni stranieri, invece che attraverso le tasse sugli americani.

Più tariffe per meno tariffe?

Occhio al dettaglio: Trump punta a portare il mondo a ridurre le tariffe al livello minimo se questo livello è quello americano, ma nulla dice su cosa farebbe se la tariffa minima fosse quella straniera, costringendo gli americani a ridurre la propria, e cioè verosimilmente a danneggiare delle lobby elettorali interne. Poi ribadisce che le tariffe servono per rimpiazzare le imposte sul reddito, il che implica non solo che non vadano abbassate ma che vadano pure aumentate, e su base permanente.

Ma forse questa apparente contraddizione ed asimmetria è solo strumentale a giungere alla riduzione generalizzata delle tariffe sul pianeta. Segue elenco degli affronti tariffari contro gli Stati Uniti:

La tariffa media attuale della Cina è superiore del 341 percento rispetto a quella degli Stati Uniti, e la tariffa media dell’Unione Europea è superiore del 50 percento rispetto a quella degli Stati Uniti. La tariffa media mondiale è più del doppio rispetto a quella degli Stati Uniti. Ad esempio, beni alimentari come cereali o altri prodotti preparati sono tassati al 32,9 percento dall’India, al 19,5 percento dalla Cina e solo al 3,1 percento dagli Stati Uniti. L’India applica una tariffa del 25,3 percento sui mezzi di trasporto, mentre gli Stati Uniti tassano quei beni solo al 2,9 percento.

Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, negli Stati Uniti la tariffa media ponderata per l’interscambio è di circa il 2,2 per cento rispetto al 12 per cento per l’India, al 6,7 per cento per il Brasile, al 5,1 per cento per il Vietnam e al 2,7 per cento per i paesi dell’Unione Europea. È il concetto di media, quello che inganna.

Vedremo come andrà a finire ma torniamo sulla molteplicità di beni entro un comparto merceologico. Gli Stati Uniti hanno una tariffa media sulle auto europee del 2,5 per cento, mentre la Ue applica il 10 per cento medio alle auto statunitensi importate. Nei giorni scorsi abbiamo letto che la Ue potrebbe venire incontro a Trump scendendo a quella tariffa media. I costruttori tedeschi si sono detti favorevoli, il che fa supporre ai maliziosi che ciò servirebbe a consentire loro di spostare verso gli Stati Uniti anche quote europee di produzione.

Ma la media nasconde delle eccezioni. Ad esempio, è dai tempi di Lyndon B. Johnson che i pickup truck importati negli Stati Uniti pagano una maxi tariffa del 25 per cento. Che farà la Ue, chiederà di ridurla per raggiungere la media del 2,5 per cento oppure si troveranno a metà strada per permettere agli americani di proteggere i loro pickup truck? Come si nota, il diavolo si nasconde come sempre nei particolari.

Peraltro, pare che Trump non possa procedere alla reciprocità a mezzo di ordine esecutivo, ma serva una legislazione. Il Congresso voterebbe senza battere ciglio oppure sarebbe assalito dalla lobby nazionale degli agricoltori e da innumerevoli altre? Dettagli, che possono mandare a monte tutta la costruzione.

Scudo (bucato) europeo

Poi si potrebbe parlare di modi e soprattutto tempi di reazione europei, visto che pare si ipotizzi di usare lo Strumento anti coercizione (ACI), in una prima assoluta. Ma qui rischiamo di vedere il solito mercanteggiamento interno alla Ue da parte di paesi che non vogliono pagare il prezzo più alto della ritorsione. Cioè, detto in altri e speculari termini, occorre essere consapevoli che Trump (e i cinesi) possono operare divisioni tra gli europei, ad esempio colpendo produzioni localizzate in singoli paesi.

Questo è il motivo per cui gli italiani stanno già informando l’Europa e il mondo che Giorgia Meloni ha un rapporto privilegiato con Trump. Ammesso e non concesso che ciò sia vero, questo modo di porsi sotto protezione altrui, che era tipico della penisola italica e dei suoi staterelli nei secoli che furono, non porta da nessuna parte, oltre ad essere credenza assai fallace. Ma anche di questo avremo modo di parlare.

  • Aggiornamento del 13 febbraio – Trump firma l’ordine esecutivo chiedendo al Segretario al Commercio, Howard Lutnick, in attesa di conferma del Senato, di preparare entro il primo aprile l’elenco dei paesi da colpire. Oltre ai dazi, verranno considerate barriere non tariffarie, regolamentazione e imposte sul valore aggiunto, che Trump considera dazi, con grande sprezzo del ridicolo. Ora partono i negoziati bilaterali ma ci si chiede se un ordine esecutivo possa intervenire su una materia che spetta al Congresso. Le forzature proseguono.

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