Il premier francese François Bayrou ha presentato ieri il progetto di legge di bilancio del 2026. Le attese per una manovra sanguinosa non sono andate tradite. A partire dal registro usato da Bayrou, in palese modalità “ultima spiaggia”, con frase ammonitrice di sfondo (“Il momento della verità”) ed espressioni come “un popolo che ha appuntamento con se stesso”, che invero suona piuttosto straniante e anche un po’ buffo. Oltre all’immancabile paragone con la Grecia, che nel frattempo pare essersi ripresa. La Francia non consegue un pareggio di bilancio da mezzo secolo, e questo è il dato sicuramente più eclatante. Alla fine del primo trimestre di quest’anno aveva uno stock di debito pari a 3.345 miliardi di euro, il 113,9 per cento del Pil. Bayrou anche qui ha usato l’immagine horror, quella del debito pubblico francese che cresce di 5.000 euro al secondo.
Due piani d’azione
Due piani d’azione, per il premier: ridurre il debito e rilanciare l’attività economica. Riguardo al primo, una manovra da 43,8 miliardi per portare il deficit-Pil al 2,8 per cento entro il 2029, soglia a cui il rapporto debito-Pil dovrebbe stabilizzarsi. Nel computo del 2026 sono stati aggiunti i 3,5 miliardi di euro di spesa aggiuntiva per la difesa, come da richiesta del presidente Emmanuel Macron, che con l’occasione ha lanciato il suo personalissimo slogan: “Per essere liberi occorre essere temuti”.
Sulla spesa pubblica, 10 miliardi di tagli, conseguiti col taglio di 3.000 (tremila) posti nella pubblica amministrazione e blocco di due terzi del turnover dei dipendenti pubblici. Previsto lo sfoltimento delle agenzie pubbliche ma solo dopo averne creata una per l’immancabile “valorizzazione” del patrimonio immobiliare pubblico. Chiedere agli italiani, in caso, alla voce “ingegneria finanziaria per disperati“. E magari anche delle cartolarizzazioni di Giulio Tremonti. Vi faccio un vaticinio: a breve inizieranno le dispute metodologiche su cosa è “taglio di spesa” e cosa invece “aumento di entrate”, e si scoprirà che ciò che è presentato attribuendolo alla prima categoria appartiene invece alla seconda. Un esempio? Tagli di trasferimenti agli enti locali che questi ultimi compensano con aumento di entrate autonome.
Previsti ben 5,5 miliardi di tagli alla spesa sanitaria e 5,3 miliardi agli enti locali. La misura più truce è il cosiddetto “anno bianco”, cioè il blocco al valore del 2025 delle spese per prestazioni sociali, pensioni e stipendi dei dipendenti pubblici. Entra in scena trionfante il fiscal drag, ormai parte integrante della cassetta degli attrezzi di ogni governo che deve fare cassa: gli scaglioni delle imposte sul reddito e dei contributi sociali non saranno indicizzati all’inflazione.
Previsto un “contributo di solidarietà per i più fortunati”, concetto interessante che illustra linguisticamente come reddito e patrimonio siano considerati frutto di eventi casuali e non di abilità individuali (il che è certamente possibile). C’è poi anche l’immancabile “lotta alle frodi”. Mi stupisce che non sia stata invocata l’intelligenza artificiale per riuscire a ottenere tutti i risparmi ma forse mi è sfuggito. E del resto lo stesso Bayrou aveva già ipotizzato che l’AI avrebbe rimpiazzato alla grande i funzionari pubblici. Auguri.
Niente da festeggiare
Il secondo asse di intervento è il “rilancio della produzione”, per il quale si propone una misura di purissima disperazione: l’eliminazione di due giorni festivi, il Lunedì di Pasqua e l’8 maggio, Giorno della Vittoria in Europa, presentato con la copertina “Questa nazione deve lavorare di più”. Vi confesso che ogni volta riesco a stupirmi per il fatto che ci sia qualcuno che davvero crede che, sopprimendo festività, la produzione aumenti anziché redistribuirsi nei restanti giorni. Chissà da cosa deriva questo convincimento. Forse dal fatto che, sopprimendo le festività, cala il costo del lavoro, le imprese diventano più profittevoli a parità di ogni altra condizione e quindi possono pagare più tasse fare più investimenti.
Ah, facciamo un piccolo quiz: ricordate se una misura del genere è già stata suggerita in Italia durante una delle nostre innumerevoli crisi, e da chi? Ve lo dico io: 2011, Giulio Tremonti. Sempre lui, genio incompreso d’Italia. Quindi, state pronti: a breve, intervista del Sole a Tremonti che, nell’ordine, dirà “Io l’avevo già suggerito subito dopo la firma della Pace di Westfalia”, aggiungendo a stretto giro che “è colpa di Draghi se non è passato”. In realtà furono i pianti di Confcommercio, tra gli altri, ma non sottilizziamo e torniamo ai galletti (al forno) d’Oltralpe.
Per finire, nel quadro delle misure di rilancio della produzione o più probabilmente del suo definitivo affossamento, non poteva mancare l’omaggio alla “filiera corta” e al “commercio di prossimità”, concetti che vedranno l’imposizione di un balzello sui piccoli pacchi. Che poi sarebbero quelli cinesi ma distinguere e salvare l’ecommerce francese non sarà semplice. Però amputiamola, questa filiera, che diamine. Già sento in sottofondo l’arco parlamentare italico sventolare la fiamma degli accendini al coro “facciamo come la Francia”. Bottegai di tutte le Gallie, unitevi.
- Leggi anche: Il menù italiano per il dissesto francese
Che accadrà, quindi? Che la mozione di censura, cioè la sfiducia, non arriverà subito ma in autunno. Ci sarà un’estate di mercanteggiamenti, con Bayrou che cercherà di tirare dalla sua parte i socialisti, magari spingendo sul contributo di solidarietà. Resta la crisi fiscale francese, che può trasformarsi in crisi europea. Ma inutile ripetersi, no?
(Photo by info.gouv.fr)



