Sud Corea, lo Squid Game dei risparmiatori

La Corea del Sud ha al momento due seri problemi: un popolo di “risparmiatori” retail affetto da vera e propria ludopatia finanziaria, non da oggi; e trovare i soldi per le “riparazioni di guerra commerciale” chieste da Donald Trump. I due problemi si intersecano e rischiano di causare enormi problemi al cambio del won, la valuta locale. Ma andiamo con ordine.

In questo trimestre, il won ha perso circa il 4 per cento contro dollaro ma da giugno il deprezzamento è arrivato all’8 per cento, facendone la peggior valuta asiatica contro il biglietto verde. La banca centrale del paese attribuisce il deprezzamento all’aumento degli investimenti esteri, soprattutto negli USA, da parte dei residenti e alle vendite di azioni domestiche da parte dei non residenti. Non si ravvisano segni di rischi per le aziende finanziarie in termini di esposizione al cambio.

Come segnala il Financial Times, gli investitori retail sud coreani hanno effettuato quest’anno acquisti netti di azioni statunitensi per 30 miliardi di dollari, quasi il triplo dell’importo per l’intero 2024. Secondo i dati del sistema sudcoreano di depositari, a fine di novembre il retail deteneva collettivamente un record di 160 miliardi di dollari in azioni statunitensi, quadruplo rispetto a cinque anni fa.

Risparmiatori aggressivi nel mercato USA

Il capo dell’agenzia di sorveglianza del mercato finanziario della Corea del Sud ha dichiarato lunedì che le autorità rivedranno le misure di protezione per gli investitori al dettaglio riguardo ai rischi valutari. In particolare, la supervisione verificherà se gli intermediari finanziari spieghino correttamente ai consumatori risparmiatori le questioni relative alla copertura dei rischi di cambio. Nessun provvedimento verrà preso per limitare in qualche modo questa impetuosa corrente di acquisti esteri.

Dalla tutela dei risparmiatori alla stabilità finanziaria e monetaria, il passo è breve. Ecco quindi i timori del governatore della banca centrale, che ha messo in dubbio se i sudcoreani, soprattutto giovani, che scommettono pesantemente su azioni statunitensi, comprendano i rischi associati all’esposizione valutaria e abbiano una guida adeguata per gestire la volatilità dei cambi. Ho il sospetto che lo sappiano perfettamente, viste le apparenti prospettive del cambio won-dollaro, ma posso sbagliarmi.

Ma il retail sudcoreano si muove come un gruppo Reddit agli steroidi, facendo ampio uso di leva finanziaria, Etf inclusi, e scommettendo sulle meme stocks. A proposito delle quali, a ottobre i sudcoreani si sono fiondati sull’azione Beyond Meat, quella della carne vegetale plant-based, facendone esplodere volumi e prezzi prima del successivo collasso, o meglio del ritorno all’elettroencefalogramma piatto che ora ne caratterizza la quotazione dopo che i sogni di gloria sono andati in fumo.

Si stima che sul mercato di Seul il peso del retail superi la metà degli scambi giornalieri. Qualche osservatore fa notare che il mercato azionario statunitense starebbe quindi progressivamente diventando come quello sudcoreano, anche per l’azione dei sudcoreani stessi.

A dirla tutta, la borsa di Seul quest’anno è tra le migliori del pianeta, con un incremento di circa il 68 per cento, anche grazie alla febbre dell’intelligenza artificiale, che ha sin qui beneficiato soprattutto le quotazioni di Samsung e SK Hynix. Si tratta peraltro di un mercato che, preso nella sua totalità, è stranamente a buon mercato, con un rapporto prezzo/utili (P/E) di poco meno di 16. Anche questo ha spinto ad acquisti di non residenti, che hanno quindi in parte compensato i deflussi dei residenti.

Una interessante tesi sociologica, peraltro non limitata alla Corea del Sud, sostiene che il trading forsennato sia spinto dalla difficoltà ad acquistare la casa e dalla crescente diseguaglianza. Messa in questi termini, sembra l’evoluzione del gratta e vinci e dei biglietti della lotteria di italica memoria. Ludopatia finanziaria, appunto. Con la differenza che la gente che scommette sui mercati è convinta di avere la ricetta e l’algoritmo cerebrale per arricchirsi. Forse pensano lo stesso quelli che incettano gratta e vinci e biglietti della lotteria…

L’esecutivo di Seul è in allerta. Il ministro delle finanze la settimana scorsa ha promesso di stabilizzare la valuta attraverso “tutte le possibili opzioni politiche”, incluso l’uso del fondo pensione statale, il terzo più grande al mondo. Il che non promette benissimo. Ma gli analisti si aspettano che la pressione sul won derivante dagli investimenti azionari all’estero diminuisca il prossimo anno. “La pressione combinata dei deflussi di capitale dagli investitori al dettaglio coreani e dagli investitori azionari esteri potrebbe aver raggiunto un picco”, ha scritto questa settimana nel suo report un analista di Citi.

Cercansi dollari per pagare Donald

E qui entra in gioco il “trattato commerciale” con gli Stati Uniti di Trump, che ho definito riparazione di guerra commerciale. Nel senso che, per poter godere di dazi al 15 per cento sui propri manufatti, soprattutto veicoli ma anche semiconduttori e farmaci, i sudcoreani si sono impegnati a investire 350 miliardi di dollari negli Stati Uniti, in settori strategici e progetti decisi dalla Casa Bianca, da deliberare entro il 2029.

I due paesi hanno stabilito che, nell’ambito di tale investimento, Seul pagherà 200 miliardi di dollari cash in rate che saranno limitate a 20 miliardi di dollari l’anno, per mantenere la stabilità del won. La Corea del Sud ha affermato che lavorerà per reperire i dollari statunitensi attraverso mezzi diversi dagli acquisti di mercato per minimizzare i potenziali impatti sul mercato valutario domestico.

I flussi di cassa saranno suddivisi equamente fino a raggiungere l’importo allocato e poi il 90 per cento andrà agli Stati Uniti. I termini potranno essere rivisti, se è “ragionevolmente evidente” che la Corea del Sud non sarà in grado di ricevere l’importo allocato entro 20 anni. La Corea del Sud potrebbe richiedere un “adeguamento dell’importo e dei tempi del finanziamento e gli Stati Uniti, in buona fede, prenderanno in considerazione tale richiesta,” ha affermato il documento informativo.

Uniamo i puntini e veniamo quindi al cambio won-dollaro. La Corea ha un fondo di stabilizzazione valutaria, finanziato con emissione di debito, il cui tetto per il prossimo anno è stato aumentato da 3,5 a 5 miliardi di dollari. A ottobre, Seul ha venduto circa 1,7 miliardi di dollari in obbligazioni in yen e dollari per rafforzare le proprie riserve valutarie, che ammontano a 430,7 miliardi di dollari. La vendita ha fatto seguito alla sua più grande vendita di eurobond, per 1,4 miliardi di euro, a giugno.

Come si nota, si tratta di importi del tutto risibili rispetto non solo all’impegno complessivo di investimento negli Stati Uniti ma soprattutto rispetto all’esborso massimo annuo concordato con gli americani. Se a questa tensione valutaria sommiamo l’attività furibonda dei retail trader sudcoreani, si uniscono i puntini e si giunge alla conclusione che le autorità sudcoreane sono destinate a forti emicranie, nei prossimi anni.

Si giungerà quindi a forme di limitazione dei deflussi di valuta, per proteggere il cambio, e tanti saluti alle buone intenzioni sulla “tutela” dei risparmiatori, impegnati in un forsennato Squid Game? Oppure gli americani applicheranno tattiche cinesi, mettendo a disposizione di Seul delle linee di swap in dollari che sono veri e propri cappi, assistite da garanzie reali su beni del paese asiatico? Per scoprirlo, basta attendere.

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