Tra i dati macroeconomici cinesi pubblicati questa settimana, segnaliamo l’indice dei prezzi al consumo, cresciuto in maggio dell’1.8 per cento su base annua. Un dato che conferma il minimo degli ultimi 19 mesi, e rafforza le aspettative che la banca centrale cercherà di sostenere la crescita della spesa dei consumatori astenendosi dall’alzare i tassi, che restano fermi al 5.58 per cento sulla scadenza benchmark a un anno, dopo l’ultimo rialzo, effettuato lo scorso ottobre. Il vice premier cinese Wu Yi ha affermato che il governo è fiducioso di poter pilotare l’economia verso un soft landing, dopo il rallentamento della crescita degli investimenti nel settore dell’acciaio, cemento e metalli non ferrosi, ottenuto attraverso misure amministrative di razionamento del credito. Il governo ha fissato il livello target di crescita massima dell’inflazione nella misura del 4 per cento per l’anno in corso, dopo il picco del 5.3 per cento toccato nel luglio 2005. Tra le voci rappresentative del paniere dell’indice dei prezzi al consumo, il prezzo del grano scende per il secondo mese consecutivo, nella misura dell’1.6 per cento annuale, replicando il risultato di aprile, che rappresentò la prima flessione da aprile 2003. Inoltre, abbigliamento, elettrodomestici e telefonia, che assieme rappresentano circa un quarto del dell’indice dei prezzi al consumo, sono diventati sempre più convenienti ogni mese dal maggio 1999. In maggio, i prezzi dell’abbigliamento sono diminuiti del 2.2 per cento annuale, quelli delle telecomunicazioni del 16.6 per cento e quelli dei beni durevoli dell’1.4 per cento. La crescente competizione rende sempre meno possibile, per i produttori, trasferire i maggiori costi dei fattori sui consumatori finali. Il 6 giugno il premier cinese Wen Jiabao si è impegnato a mantenere i prezzi del grano, che lo scorso anno rappresentarono la principale causa d’inflazione, stabili per l’anno in corso.
I prezzi degli alimentari, che incidono per circa un terzo dell’indice cinese dei prezzi al consumo, sono cresciuti in maggio del 2.4 per cento annuale, dopo il 3.1 per cento di aprile, facendo segnare il minor incremento da agosto 2003. Un incremento nella spesa di consumi, attraverso il canale delle importazioni, può servire alle autorità cinesi per ridurre la pressione alla rimozione del peg dello yuan sul dollaro statunitense e limitare gli afflussi di valuta estera che stanno limitando la politica monetaria. Il governatore della People’s Bank of China ha confermato questo orientamento il 7 giugno scorso, affermando che le politiche economiche sono mirate a ridurre il surplus commerciale vicino allo zero, anche utilizzando nuove opzioni per aumentare i consumi. Secondo alcuni analisti, alcune pressioni inflazionistiche starebbero accumulandosi, essenzialmente nel settore delle utilities, i cui costi sono cresciuti in maggio dell’8.9 per cento, contro il 9.2 per cento di aprile. I costi stanno salendo anche nel settore delle spese domestiche (che comprende gli affitti), come testimoniato dall’incremento del 5.8 per cento in maggio, uguale a quello registrato in aprile. Secondo il Centro di Ricerca e Sviluppo, l’organo del Consiglio di Stato preposto alla ricerca economica, l’indice dei prezzi al consumo è previsto crescere al passo del 3.5 per cento annuo nel 2005, aiutato dal rallentamento dei prezzi degli alimentari, previsti in crescita tra il 6 e l’8 per cento, mentre i non alimentari dovrebbero crescere tra l’1.5 e il 2 per cento.
Malgrado le favorevoli prospettive per l’inflazione, il rialzo dei tassi potrebbe essere necessario in ogni caso, per permettere agli operatori economici di apprendere la nozione di costo del capitale, quest’ultimo determinato secondo meccanismi prossimi a quelli di mercato, oltre che per drenare liquidità in cerca di remunerazione, destinata altrimenti ad alimentare soprattutto il settore immobiliare.
La produzione industriale cinese cresce in maggio del 16.6 per cento sull’anno precedente, dopo l’incremento del 16 per cento annuale registrato in aprile, e stime di consenso che ipotizzavano una crescita del 15.8 per cento. L’export di metalli ferrosi (come l’acciaio) è aumentato del 74 per cento, e quello di computer e calzature di oltre il 30 per cento. Diviene così ancor più probabile un aggiustamento al rialzo delle stime di crescita per l’anno in corso, oltre il target governativo dell’8 per cento, il che potrebbe richiedere ulteriori restrizioni amministrative ai settori a più forte crescita. I prezzi del rame hanno toccato la scorsa settimana il massimo degli ultimi 16 anni, e sono cresciuti del 29 per cento nell’ultimo anno, in parte a causa della riduzione delle scorte indotta da consumi (soprattutto cinesi) molto forti. Il rischio, con questo ritmo di crescita è che, in assenza di un inasprimento delle misure restrittive per via amministrativa, che tale situazione richiede, è quello di un hard landing dell’economia, con probabilità di deflazione piuttosto alta, profitti aziendali in calo, aumento delle sofferenza bancarie, a causa dell’eccesso di investimento in alcuni settori. Sul dato di produzione industriale può aver influito l’accelerazione dei programmi di produzione per costituire scorte, prima delle chiusure di impianti ordinate dalle autorità per evitare che, all’avvio della stagione estiva, l’utilizzo dei climatizzatori provochi black-outs elettrici. Secondo la State Electricity Regulatory Commission, infatti, la Cina potrebbe avere un gap di 25.000 megawatt rispetto al fabbisogno (lo scorso anno il deficit fu di 30.000 megawatt). Ad indiretta conferma di questa tesi, si segnala il fatto che la produzione di prodotti di acciaio è aumentata in maggio del 36 per cento.
In sintesi, l’economia cinese prosegue la propria apparentemente irresistibile crescita, ma emergono i primi segnali di debolezza strutturale di un sistema che appare un incredibile ibrido tra meccanismi di mercato ed altri, caratteristici di un’economia collettivista pianificata. Esiste il rischio di un hard landing dell’economia, con tutte le conseguenze, soprattutto deflazionistiche, indotte dall’accumulazione di un’imponente capacità produttiva. Inoltre, emergono innegabili evidenze di danni ambientali, sia in termini di dissesto idrogeologico che di emissioni inquinanti. Le prossime grandi sfide per la leadership comunista cinese saranno rappresentate proprio dalla capacità di reggere i forti squilibri territoriali tra aree urbane e rurali, e le inevitabili tensioni sociali indotte dall’inurbamento e dall'”efficientamento” delle imprese pubbliche. Tensioni che dovranno essere gestite verosimilmente espandendo la spesa pubblica in termini dell’introduzione di qualche forma di protezione sociale. Un interessante contrappasso dantesco per una Repubblica Popolare…
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