Gli straordinari di Sarkozy

di Mario Seminerio – © LiberoMercato

Il primo grande progetto di legge del quinquennio Sarkozy è stato inviato, lo scorso 6 giugno, al Consiglio di Stato che dovrà pronunciarsi in via consultiva il giorno 14.
Il progetto prevede che le ore di lavoro straordinario siano defiscalizzate senza alcun limite e che su di esse non si applichino gli oneri sociali per i salariati pubblici e privati. La detassazione si applicherà allo stock legale di 220 ore annue di straordinario ed alle ore svolte in eccedenza su base volontaria, misura che di fatto neutralizza senza sopprimere formalmente il tetto delle 35 ore.

Inoltre, il progetto di legge di Sarkozy prevede un incremento della maggiorazione di remunerazione delle ore di straordinario, dal 10 al 25 per cento, dal primo ottobre anche nelle imprese fino a venti dipendenti, equiparandole a quelle di maggiori dimensioni. Per compensare gli imprenditori del maggiore esborso, il progetto di legge prevede una riduzione in somma fissa dei contributi dei datori di lavoro, pari a 0.50 euro e 1.50 euro per ora di straordinario a seconda che l’impresa impieghi più o meno di 20 salariati. L’intervento sulle ore lavorate è certamente positivo, ad una prima valutazione, ma non esente da critiche. Vediamo perché.

Il progetto di legge dell’Eliseo assesta una picconata definitiva al totem socialista delle 35 ore di lavoro settimanale, quello nato dal presupposto per cui lo stock di lavoro nell’economia sarebbe fisso, dato e immutabile, ed occorrerebbe quindi dividerlo per il maggior numero di lavoratori possibile. Una visione ideologica, statica e pauperista, che non ammette che la crescita economica possa essere stimolata e guidata con opportuni interventi di liberalizzazione.

Con la legge Sarkozy le ore lavorate sono destinate ad aumentare, e con esse il prodotto economico francese. Ma vi sono anche delle potenziali controindicazioni a questa misura di gestione dell’offerta. In primo luogo, aver scelto di detassare le ore di lavoro straordinario anziché limitarsi a tassarle come quelle ordinarie rischia di provocare distorsioni ed abusi. Alcune aziende potrebbero concedere aumenti retributivi ai propri collaboratori camuffandoli da ricorso allo straordinario, con un forte calo delle entrate fiscali e contributive a cui occorrerebbe porre rimedio verosimilmente aumentando le tasse, vista la genetica incapacità dei governi europei a tagliare la spesa. Inoltre, la disponibilità di ore lavorative aggiuntive a buon mercato rappresenta un incentivo alle imprese per non espandere l’occupazione anche in presenza di accresciuta domanda dei propri prodotti e per non compiere investimenti innovativi ad alta intensità di capitale. L’esito di simili decisioni, nel lungo periodo, sarebbe rappresentato da una decelerazione del tasso di crescita della produttività francese, e quindi nel declino del tenore di vita.

Ma soprattutto, questa misura di incentivazione “al margine” dell’offerta di lavoro serve solo se il cavallo beve, cioè se l’economia tira. Molto meglio sarebbe stato, a nostro giudizio, smantellare il dirigismo francese sul mercato del lavoro limitandosi a fissare, come nei paesi anglosassoni, un tetto massimo di ore lavorabili e lasciare alla contrattazione settoriale, territoriale ed aziendale il compito di aggiustare domanda ed offerta di manodopera alle dinamiche di mercato.

La stella polare di ogni intervento riformatore deve essere rappresentata dalla riduzione del cuneo fiscale, l’odiosa tassa che rende la merce-lavoro insostenibilmente costosa, ed è alla base della elevata disoccupazione strutturale europea. Una direzione di intervento, in questo senso, dovrebbe vedere il riequilibrio della tassazione tra reddito e consumi. Ci sarà modo di discuterne.

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