L’economia di Eurolandia nel secondo trimestre del 2007 ha rallentato il passo. Eurostat, infatti, conferma che tra aprile e giugno di quest’anno il Pil della zona euro è cresciuto solo dell’0,3 per cento contro lo 0,8 per cento dei primi tre mesi dell’anno e dell’ultimo trimestre del 2006. Si tratta del peggior risultato dal primo trimestre 2005, quando l’economia di Eurolandia crebbe dello 0,3 per cento.
L’Italia resta in fondo alla classifica, con una crescita appena dello 0,1 per cento rispetto allo 0,3 per cento del primo trimestre 2007 e all’1,1 per cento degli ultimi tre mesi del 2006. Peggio ha fatto solo la Grecia, con un -09 per cento, che però nei primi tre mesi dell’anno aveva fatto registrare un balzo del 3,2 per cento. A trainare il Pil dell’eurozona sono Spagna, Austria e Finlandia, che tra aprile e giugno hanno messo a segno uno 0,9 per cento, mentre Francia e Germania si sono fermate allo 0,3 per cento.
Ancora una volta si dimostra, anche a livello spannometrico, che in questa fase l’Italia ha una correlazione trimestrale di circa un terzo con la crescita media dell’Area Euro. Lo stimolo alla crescita deve essere fornito dalla progressione dei redditi reali, a loro volta funzione della crescita della produttività. La crescita del potere d’acquisto reale si ottiene anche attraverso la riduzione dell’inflazione, che può essere conseguita in modo virtuoso sia aumentando la produttività che attraverso la liberalizzazione del mercato dei prodotti e (soprattutto) dei servizi. E’ vero che cinque o sei trimestri non fanno un trend di lungo periodo, ma quello che appare del tutto evidente è che la crescita italiana è strutturalmente frenata, impedita, ostacolata, con buona pace delle poderose liberalizzazioni di Bersani per barbieri e carte prepagate.
Anche per questo motivo, la prossima volta che qualche esponente del centrosinistra vi dirà che il governo Prodi “ha rimesso in moto l’Italia”, potrete spedirlo direttamente al Bagaglino. Non che questo significhi difesa d’ufficio del quinquennio di non-riforme berlusconiane, sia ben chiaro. Ma stimolare durante una recessione la crescita di un paese in declino è politicamente più impervio che farlo durante un’espansione.
Ora attendiamo di vedere come andrà il terzo trimestre, sulla cui attesa ripresa pesano le incognite dell’apprezzamento della moneta unica e del gradino all’insù nei costi di indebitamento, causato dalla crisi dei subprime, che già ora sta pesantemente impattando la domanda di credito ipotecario da parte delle famiglie, che a sua volta si rifletterà con elevata probabilità in un generalizzato rallentamento dell’immobiliare.
Se avremo crescita, l’Italia sarà ancora l’anello debole della catena europea, ma qualcuno potrà continuare a danneggiare i conti pubblici con continue espansioni di spesa finanziate da inasprimenti fiscali, e via di questo passo fino al definitivo blocco dell’economia italiana. Come ripetiamo da anni, solo un profondo trauma economico potrà porre fine al pluridecennale ed indecente balletto della inesistente politica economica italiana.
Dobbiamo sperare nel tanto peggio, tanto meglio, e nel “riformismo emergenziale”, è il nostro ultimo treno contro il declino. Attendendo un governo del Governatore.