Immaginate di essere un contribuente italiano. Da un giornale online specializzato in gossip (ma che ha fama di essere piuttosto attendibile) venite informati che un piccolo quotidiano, dalla foliazione esigua e dalla diffusione ancor più intima (o infima) starebbe navigando in cattive acque: uscita di importanti giornalisti, ulteriore riduzione del numero di copie vendute. Che, date le premesse, finirebbero con l’essere lette (ma non necessariamente acquistate) solo dai familiari di giornalisti e maestranze del sopracitato quotidiano. Siete favorevoli al pluralismo dell’informazione, da perseguire anche tramite intervento pubblico, ma cum grano salis ed in modica quantità.
Sapete che questo quotidiano è pesantemente sussidiato dai contribuenti, al punto che la maggioranza assoluta del suo fatturato deriva da erogazioni pubbliche e crediti d’imposta. Sapete anche il direttore-fondatore di questo quotidiano ed uno dei suoi giornalisti “storici” teorizzano da sempre la bontà di tali sussidi, che affermano essere a presidio del pluralismo. Ma nulla dicono riguardo le motivazioni in base alle quali i soldi dei contribuenti dovrebbero andare proprio a loro e non a qualsiasi altro cittadino italiano che decida di fare informazione, magari sul web.
Date le premesse, ed ammettendo che il gossip abbia fondamento, in caso di dissesto conclamato di tale quotidiano il contribuente dovrebbe sentirsi sollevato, confidando nella chiusura di tale testata (per manifesta incapacità a produrre anche solo un fatturato di sussistenza, dati i costi), oppure preoccupato per l’ipotesi di un salvataggio modello Alitalia, pur se di entità incomparabilmente inferiore, ma dai certi effetti imitativi a livello di settore?