La Consulta riafferma la rilevanza (verrebbe da dire la centralità, se non fosse ormai così terribilmente fuori moda) dell’articolo 32 della Costituzione. La legge 40 non realizzava esattamente una “ragionevole comparazione” tra l'”interesse della donna al buon esito della procedura di procreazione medicalmente assistita e la tutela dell’embrione“, come invece sosteneva la tesi dell’Avvocatura dello Stato, quanto una forte attenuazione della tutela, costituzionalmente garantita, della salute della donna medesima, e la differenza non è propriamente una sfumatura.
Lo sappiamo: ora inizierà (è già iniziata, a dire il vero) la litania sull’eugenetica alle porte, e sulla magistratura che sconvolge il tranquillo legiferare del parlamento, con tutti i dirottamenti logici di complemento a questi riflessi pavloviani, che in questo periodo attanagliano molti “liberali catacombali”, quelli che alla normazione preferirebbero l’ipocrisia del “si fa, ma non si dice”, in assenza di legge. A tutti i livelli: procreazione assistita, fine vita. Magari mettiamoci pure aborto e divorzio, così riusciamo a delegificare in modo più sostanziale. Ma la sentenza di oggi è un passo sulla via per fare dell’Italia un paese di cittadini autodeterminati, e non di ostaggi di uno stato etico.