Analizzando i dati del conto economico trimestrale delle Amministrazioni pubbliche, redatto dall’Istat e pubblicato ieri, un dato colpisce più di altri. Occorre doverosamente premettere, come fa il nostro istituto di statistica, che “la forte variabilità in corso d’anno degli aggregati del conto ed in particolare del saldo (indebitamento netto) che, per gli anni presi in considerazione, assume andamenti diversi nei trimestri in cui vengono adottati i vari provvedimenti di politica economica e le diverse manovre di bilancio“, ed anche che la metodologia di rilevazione è per competenza (e non per cassa), ma il confronto del dato del primo trimestre 2009 sul corrispondente periodo del 2008 consente comunque di limitare in parte le distorsioni.
Dal confronto si evidenzia quindi che, mentre l’incidenza delle spese sul Pil è passata dal 45,6 per cento del primo trimestre 2008 al 49,2 per cento del primo trimestre di quest’anno, quella delle entrate sul Pil è rimasta pressoché inalterata, passando dal 39,8 per cento del primo trimestre 2008 al 39,9 per cento del primo trimestre 2009, con una flessione su base tendenziale del 2,8 per cento, evidentemente in linea con l’andamento del Pil.
Quello che lascia perplessi, in questo dato, è soprattutto l’invarianza dell’incidenza delle entrate sul Pil. Ciò rappresenta un’anomalia perché, in un sistema fiscale progressivo, al ridursi del prodotto interno lordo l’incidenza dell’imposizione fiscale su di esso è attesa ridursi, non restare costante. Pur con tutti i caveat del caso (variazioni della legislazione fiscale), pare che nell’ultimo anno si sia verificato un aumento strisciante della pressione fiscale, con tutto quello che da ciò deriva in termini di azione frenante sulla congiuntura.
Quanto all’espansione della spesa (più 4,6 per cento in termini d’incidenza sul Pil), essa può essere stata determinata dall’operare degli stabilizzatori automatici, oppure da misure di espansione esplicita. Non stiamo affermando che ciò sia un’anomalia: durante una recessione la spesa pubblica tende spontaneamente ad espandersi rispetto al Pil, anche per la presenza di voci di spesa incomprimibili nel breve termine (quella per stipendi e pensioni, ad esempio). Ma certamente l’adozione di misure di razionalizzazione della spesa anziché di mantenimento dell’invarianza delle entrate sul Pil, avrebbe consentito di evitare di controllare l’allargamento del deficit in modo più virtuoso e meno pro-ciclico di quanto stiamo ottenendo.
Per questo, pur mantenendo sospeso il giudizio, perché un singolo dato non fa una tendenza, sarebbe (ed è tuttora) opportuno agire dal versante della spesa, e non da quello delle entrate, se vogliamo evitare di soffocare ulteriormente il già gravemente indebolito potenziale di ripresa del paese, cullandoci in fallaci convincimenti.