Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti, tenta di vendere le perline colorate alle popolazioni indigene che hanno appena scoperto l’uso del fuoco. E lo fa benissimo, con una intervista al Tempo in cui proclama (corsivi nostri):
“Abbiamo attuato un altro punto del programma di governo. E tutto questo compatibilmente con le esigenze del bilancio pubblico. Non ci saranno quindi sforamenti. La gente avrà più soldi in tasca e questo aiuterà a rilanciare i consumi e quindi la ripresa economica”
Aver saputo prima che, con il semplice rinvio del pagamento di imposte si sarebbe prodotto il rilancio dei consumi, avremmo potuto risolvere i problemi del paese già da un pezzo. Ma che ci fosse un punto del programma intitolato “rinvio del pagamento degli acconti d’imposta” ci era sfuggito.
L’intervista, nel consueto stile zerbinico che ormai caratterizza ampia parte della stampa italiana, e non solo i famigli, prosegue con l’arrembante richiesta di chiarimenti da parte della cronista candidata al Pulitzer, che incalza il sottosegretario: “Perché solo l’Irpef? Non c’era un piano per ridurre anche l’Ires e l’Irap? Cosa ne è stato?” Sotto questo fuoco di fila di domande, che partono dal presupporto che sì, le tasse sono state ridotte, Bonaiuti capitola e sintetizza il motto del governo più popolare degli ultimi millecinquecento anni: People First. Ma soprattutto confessa:
“Non è una misura fatta per le feste natalizie. E un altro tassello della politica del governo finalizzata a ridurre il peso delle imposte. In questo modo si lasciano più soldi in tasca ai cittadini e si diffonde un clima di maggiore tranquillità e di fiducia verso la ripresa economica. Il taglio dell’Irpef è pari a 3,8 miliardi. Sono davvero tanti di questi tempi”
Beh si, sono davvero tanti. Soprattutto considerando che tra pochi mesi dovranno rientrare nelle casse pubbliche, con il saldo della dichiarazione dei redditi. Saranno contenti i commercialisti, la semplificazione avanza a grandi passi. Ma lo slogan di Bonaiuti è efficace: prima la ‘ggente. O almeno i gonzi che ci credono.