Ora che si è consumato (forse) l’ultimo atto di uno psicodramma che durava dalla nascita del Pdl, è opportuno fermarsi ad osservare il panorama e a riflettere. Per fare ciò, occorre utilizzare una tecnica di analisi che potrebbe essere sintetizzata nella frase “Berlusconi ha ragione”. Procediamo.
Berlusconi ha ragione, si diceva. Ragione nel ritenere non più rinviabile l’estromissione dal partito di un gruppo di guastatori che contesta tutto dell’azione di governo e maggioranza, venendo meno ai doveri derivanti dall'”investitura popolare” e di fatto impedendo quei “profondi cambiamenti sia nella sfera economica che in quella politica e istituzionale” di cui il paese necessita, come recita il documento approvato ieri sera dall’Ufficio di Presidenza del Pdl.
La corda pare essersi spezzata per l’eccesso di giustizialismo di cui negli ultimi tempi si sono resi protagonisti soprattutto Italo Bocchino e Fabio Granata, con la copertura politica del presidente della Camera. Prendiamo per buona anche questa accusa. Allo stesso modo in cui possiamo accettare quella di opportunismo politico rivolta a Fini, che passò in poche settimane dal commento sulle “comiche finali” dopo il celebre “discorso del predellino” alla partecipazione alla creazione del nuovo soggetto politico. Omaggiandovi di quella di “ingratitudine”, più utilizzata nei consessi di famiglia (con e senza maiuscola), che nella dialettica politica di un paese occidentale.
Dopo aver scontato tutto ciò, ed aver preso atto che il premier ritiene che il governo avrebbe perso “sei punti pieni” in conseguenza della conflittualità interna alla maggioranza (mai causalità è stata più diretta e nitida, par di capire), non si può non constatare che è molto difficile, anche per i garantisti più convinti, associare l’azione corrosiva di Fini ad alcuni eventi che assai difficilmente possono essere fatti ricadere nella tipologia del fumus persecutionis giudiziario.
Difficile, ad esempio, credere che Fini ed i finiani siano responsabili delle disavventure di un ministro apicale come Claudio Scajola, fattosi trovare col sorcio in bocca di un pagamento di 900.000 euro per acquistare un’abitazione. Difficile credere che l’ormai celebre discorso di dimissioni di Scajola, quello in cui si impegnava solennemente a cercare di “acclarare” chi mai potesse avergli pagato la casa, possa essere attribuito all’incontinenza verbale di Bocchino e Granata.
Ancor più difficile vedere un ruolo di Fini e dei finiani nella nomina, a pochi giorni da una decisiva udienza in tribunale, di Aldo Brancher a ministro di non si sa bene cosa, per poter fruire del prezioso e legittimo impedimento. Brancher è stato condannato con rito abbreviato, pochi giorni addietro, per ricettazione ed appropriazione indebita nel processo per il tentativo di scalata a Banca Antonveneta da parte di Banca Popolare Italiana, lasciandoci l’inappagata curiosità su quali potessero essere le sue numerose deleghe.
Ancora più difficile ritenere che Fini ed i finiani siano responsabili del commissariamento della banca presieduta da uno dei coordinatori del Pdl, richiesto dalla Banca d’Italia per “gravi irregolarità e gravi violazioni normative”. Altrettanto difficile pensare (ma è solo un episodio minore) che il vocale dissenso di Fini per la decisione di condannare l’Italia all’ennesima procedura d’infrazione da parte dell’Ue sulle quote latte sia alla base della perdita di consenso dell’esecutivo.
Potremmo anche ritenere che Fini ed i finiani siano corresponsabili dell’immobilismo che caratterizza questo esecutivo nella gestione della politica economica, malgrado l’ormai consunta vulgata secondo la quale il governo avrebbe gestito la crisi in modo esemplare. Ma in quel caso l’intero partito dovrebbe sciogliersi.
Potremmo pure arrivare a considerare Gianfranco Fini solo un piccolo arrampicatore, roso dall’invidia per i successi del premier. Eppure, anche così sarebbe davvero spericolato credere che lo stallo del Pdl, che in realtà è l’ultraquindicennale stallo dell’illusionismo berlusconiano (che da sempre si alimenta di un mix di mirabolanti annunci e di contestuale ricerca di un capro espiatorio per giustificare l’insuccesso e l’inazione), sia interamente addebitabile ad un gruppo di kamikaze al soldo del re di Prussia.
Vorremmo credere che questo esito porterà all’attuazione del programma del Pdl, e del più generale programma del berlusconismo, come viene ricicciato da quasi un ventennio. Eppure, se questa iniezione di metadone di credulità servirà, entro poco tempo serviranno nuovi e più potenti nemici, per spiegare stagnazione e fallimenti. Non c’è da temere a questo riguardo, la lista è vastissima: la magistratura, il Quirinale, la Costituzione, la stampa, gli alieni e le fasi lunari. Tutti impegnati ad impedire “la modernizzazione” del paese, come già denunciava Bettino Craxi nella notte dei tempi, prima dello sfortunato incidente di Mariuolo Chiesa.
C’è solo una cosa che ci preoccupa, in questo Day After: il futuro di alcune testate giornalistiche, che nell’ultimo biennio hanno prosperato sulla caccia all’uomo, e che oggi rischiano (anche se temporaneamente, visto l’elevato numero di nemici disponibili) di trovarsi costrette a ridurre la foliazione. Analogamente, la chiusura di questa vicenda causerà a molti blog monotematici (e monomaniacali) devastazioni peggiori di quelle che accadrebbero in caso venisse approvato il famigerato articolo 29 del ddl intercettazioni. Ma nella vita è importante sapersi reinventare. E andiamo avanti.