Le asset class più rischiose (azionario, materie prime e credito) tornano ad indebolirsi questa settimana. Obbligazionario in ripresa in Europa, su speculazioni di nuovi allentamenti monetari e per le tensioni sulla periferia dell’Eurozona.
I dati di attività globale restano più deboli di quanto si vorrebbe vedere, ma il passo del loro rallentamento sta indebolendosi. Per molti paesi, i dati sono ormai in linea con le previsioni riviste al ribasso. C’è grande attenzione al modo in cui il collasso degli indicatori di fiducia e del mercato azionario in agosto potranno impattare sulla domanda. Al momento l’indebolimento non sta mostrandosi simile a quello vissuto all’inizio della recessione. Le vendite negli Stati Uniti ed in Cina stanno reggendo, anche se il settore della tecnologia si sta seriamente indebolendo, come mostrato dalle esportazioni di Taiwan e dagli ordini esteri per il Giappone.
L’ascesa dei rischi recessivi sta spingendo all’azione i policy makers. Nei paesi emergenti, essi hanno molte munizioni (fiscali e monetarie), ma l’inflazione non sta scendendo abbastanza rapidamente da indurre diffusi tagli dei tassi. Nella maggior parte dei casi, le banche centrali emergenti hanno comunque smesso di stringere la politica monetaria. L’economia americana è sull’orlo della recessione. Ciò dovrebbe spingere la Fed ad agire, attraverso la cosiddetta “Operazione Twist”, per aumentare la duration dei titoli coinvolti nelle operazioni di mercato aperto, e ridurre i rendimenti sulla parte lunga della curva. Il presidente Obama ha inoltre proposto un pacchetto fiscale più ampio delle attese, a sostegno soprattutto dell’occupazione. Se pienamente attuato, potrebbe sostenere il Pil statunitense fino al 2 per cento (secondo alcune case d’investimento), controbilanciando la stretta fiscale prevista nel 2012, stimata pari all’1,5-1,75 per cento. Data la forte polarizzazione esistente nel Congresso, è improbabile che tutte le proposte vedano la luce, anche se alcune dovrebbero passare.
In Europa, la fine dei giochi per l’Emu si avvicina a grandi passi. La sopravvivenza della valuta unica richiede una politica fiscale comune. Gli stati membri si decideranno a cedere sovranità fiscale solo se e quando l’alternativa di un disastroso collasso della moneta unica sarà imminente. Le condizioni dovranno quindi verosimilmente peggiorare di molto, prima che i paesi dell’Eurozona si muovano verso la necessaria gestione congiunta di deficit e loro finanziamento. Merkel e Sarkozy hanno esplicitato che gli Eurobond non sono fattibili senza un controllo dei bilanci nazionali ben più stretto di quanto non accada oggi. Il primo ministro olandese ha chiesto uno “zar” del budget, che possa arrivare a cacciare dall’euro i paesi che violano le norme di bilancio. Giovedì scorso, Angela Merkel ha proposto al parlamento tedesco un nuovo trattato dell’Ue per per permettere una nuova politica economica, con maggiore integrazione. I pezzi del salvataggio dell’euro stanno lentamente andando al loro posto, ma serviranno enormi progressi, con altissimi rischi di esecuzione di questo percorso.
Nel reddito fisso, continua la turbolenza in area euro, che spinge al ribasso i rendimenti del centro, con i Bund tedeschi a nuovi minimi storici. Tra gli elementi di turbativa della settimana, i ritardi e le incertezze di esecuzione del piano di consolidamento fiscale italiano, l’ennesimo sforamento della Grecia, con l’aggiunta dell’incertezza sui livelli di partecipazione delle banche al programma di concambio di titoli di stato di Atene, le dimissioni del capo economista della Bce, Juergen Stark, per dissensi sulla politica dell’istituto di Francoforte nei confronti dell’acquisto di titoli pubblici. La prossima settimana Italia e Spagna torneranno sul mercato con nuove emissioni, e più avanti la capacità dell’EFSF (oggi pari a 440 miliardi) verrà messa a dura prova, dovendo eguagliare il passo di acquisti della Bce (56 miliardi nelle ultime quattro settimane). In settimana, la Bce ha annunciato che i rischi inflazionistici non sono più al rialzo ma bilanciati. La probabilità di un alleggerimento monetario nel breve termine sono aumentate sostanzialmente.
Sul mercato azionario, dati economici misti e continue sorprese negative dalla crisi sovrana europea suggeriscono posizioni difensive. Gli indici di sorpresa economica restano in territorio negativo sulle due sponde dell’Atlantico, come ormai accade da cinque mesi.
Sul mercato dei crediti, si registra ancora una volta un allargamento generalizzato degli spread. L’Europa continua a sottoperformare gli Stati Uniti. Anche gli spread dei paesi emergenti hanno fatto segnare un allargamento.
Sul mercato dei cambi, il dollaro sta tornando alle correlazioni tradizionali con azionario e volatilità, rafforzandosi al crescere dell’incertezza e dello stress sui mercati. Contro euro, il possibile allentamento monetario della Bce ed il conflitto istituzionale in atto sono elementi positivi per il biglietto verde, ma il nuovo pacchetto fiscale di Obama ed il possibile nuovo easing quantitativo della Fed sono importanti controbilanciamenti alla eventuale forza del dollaro. La mossa della banca centrale svizzera, che ha posto un minimo del franco contro euro pari a 1,20, potrebbe avviare una fase di mosse difensive da parte di altre banche centrali, per impedire eccessivi apprezzamenti delle proprie divise, con conseguenti tensioni valutarie.
Riguardo le materie prime, il petrolio si è mostrato resiliente, malgrado tutto, con il Brent in recupero di circa l’1,5 per cento in dollari nella settimana, ed ormai tornato ai livelli precedenti la correzione di inizio agosto. La ripresa della produzione libica in quantità elevate appare improbabile almeno fino a metà del prossimo anno, quando è attesa anche l’espansione dell’export iracheno. L’Opec potrebbe tagliare la produzione, a fronte di debolezza della domanda, per proteggere la propria rendita. L’annuncio della Banca Nazionale Svizzera di voler acquistare “illimitati” quantitativi di divise estere per mantenere la soglia minima del cambio euro-franco rappresenta un fattore rialzista per l’oro, perché rimuove (almeno per ora) il franco svizzero dalla lista degli investimenti compensativi e protettivi rispetto alla crisi dell’area euro.