Ci è stato segnalato uno degli innumerevoli esempi di disinformazione complottarda, alimentati da ciclopica ignoranza, che formano ormai da tempo il fertile humus delle leggende nere italiane. Questa volta al centro di tutto ci sono degli swap attuati dal Tesoro italiano con una delle maggiori controparti internazionali di questa tipologia di operazioni, Morgan Stanley. La quale accade che segnali, nelle note a piè di pagina dei conti del quarto trimestre 2011, la riduzione della propria esposizione netta in derivati al nostro Tesoro (via “ristrutturazione”) da 4,9 a 1,5 miliardi di dollari. Apriti cielo.
Subito partono le accuse di opacità nella gestione delle operazioni di finanza pubblica straordinaria (che in realtà è molto più ordinaria di quanto credano i non addetti ai lavori), oltre allo sdegno per aver pagato tutti questi soldi ad una banca d’affari americana, il centro del complotto plutogiudaicomassonico contro le folle affamate. Manca solo il riferimento agli F-35 ed alla patrimoniale e poi la coazione a ripetere è conclusa. Ma che è accaduto, realmente?
Andiamo con ordine, in un ambito in cui ci sorprenderebbe trovare qualcuno in grado di capire la materia. E infatti, non capendola, il cospirazionismo impazza sovrano. In primo luogo, che cosa sono gli swap? Come dice il termine, si tratta di contratti in cui due controparti si scambiano flussi finanziari. Possono essere costruiti nei modi più fantasiosi ed esotici, coinvolgendo tassi d’interesse e/o valute. Al di là della complessità esteriore delle strutture, tutto si riconduce all’assai poco esoterico concetto di valore attuale.
Prendiamo il caso dello swap più semplice, quello su tassi d’interesse. Un contratto di questo tipo prevede due “gambe”, una a tasso fisso ed una a tasso variabile, costruite in modo che, all’avvio dell’operazione, il valore attuale dei flussi di cassa delle due gambe sia equivalente. Chi entra in questo accordo può farlo, ad esempio, perché ha emesso debito sul quale paga un tasso fisso. Prevedendo un calo dei tassi di mercato, il debitore decide quindi di sottoscrivere un interest rate swap in cui riceve un tasso fisso e paga un variabile. Se la sua valutazione è corretta, quindi, il suo onere per interessi dovrebbe scendere nel corso del tempo.
In pratica, il nostro debitore ha trasformato un debito a tasso fisso in uno a tasso variabile. Che accade al “valore” dello swap, se i tassi di mercato cambiano? Se la scommessa del debitore è corretta, egli continuerà a ricevere un tasso fisso pagando al contempo un tasso variabile decrescente nel tempo. Attualizzando questi due flussi di cassa, moltiplicati per un capitale “nozionale” (cioè virtuale, che serve però da base di calcolo e da riferimento rispetto alle esigenze di copertura del nostro debitore), si ottiene uno sbilancio in termini di valore attuale netto, che poi è quanto la controparte che ha sbagliato “scommessa” dovrebbe pagare a quella che tale scommessa ha “azzeccato”, in caso di chiusura anticipata del contratto di swap.
Ora, accade che il Tesoro italiano, come tutti i Tesori e le agenzie nazionali di debito, utilizzi tali swap per gestire in senso dinamico il costo del proprio debito. Non c’è nulla di oscuro in ciò, almeno sinché tali strumenti non vengano utilizzati per alterare i flussi di cassa, ad esempio usando tassi non di mercato in una delle due gambe dello swap. Circostanza che implica un pagamento immediato (detto upfront) a beneficio di quella controparte che dovrà pagare nel tempo il tasso “anomalo” ed oneroso. Ma non divaghiamo.
Riguardo gli swap con Morgan Stanley (che qui qualche mattacchione riesce a chiamare Stanley Morgan), una ipotesi è che lo sbilancio tra le due gambe dello swap, in termini di valore attuale netto, sia a svantaggio del Tesoro italiano, che di regola dovrebbe quindi versare una garanzia. Non volendo (o potendo) versare quella garanzia, via XX Settembre si mette d’accordo con una banca italiana che sostituisca Morgan Stanley come controparte swap. Alla fine dei conteggi, il Tesoro non ha sborsato quei 3,4 miliardi di dollari, ma ha semplicemente sostituito la controparte dello swap. Non solo: in un contratto di swap il capitale si dice nozionale proprio perché è figurativo, non reale. Costruire un’operazione su un milione o un miliardo di euro serve solo per calcolare il valore attuale delle “gambe”, fissa e variabile, e regolare l’eventuale chiusura anticipata e l’eventuale reintegro della garanzia. Il problema è che queste tecnicalità sfuggono a tutti i cospirazionisti di cui il paese ormai abbonda. E del resto, per dircela tutta, voi giudichereste una tecnica chirurgica, non essendo chirurgo? Forse si, visto che siamo in Italia, ma confidiamo che il senso della domanda vi sia chiaro.
A proposito, siamo poi certi che Banca IMI sia davvero subentrata a Morgan Stanley? No. Ma se fosse proprio andata così, che senso avrebbe parlare di “regalo agli americani”, visto che il Tesoro non ha avuto esborsi effettivi, ed ha per contro evitato di dover aggiungere altri soldi, a titolo di garanzia per uno swap che gli sta giocando contro per i più vari motivi? Troppo difficile giungere alla conclusione che si tratta solo dell’adempimento di normali contratti finanziari, inclusa la clausola di ristrutturazione? E’ vero che qualcuno di essi potrebbe celare qualche altarino, ma siamo (siete) certi di riuscire a individuarlo se il Tesoro fosse obbligato a comunicare sul proprio sito ogni singola operazione di swap in cui entra per pura fisiologia di gestione del proprio enorme stock di debito? E ancora: se vedeste uno swap in perdita in mezzo a tanti in utile, giungereste per questo solo motivo a dire che c’è del marcio dietro quella operazione? Ed ora, il test definitivo: voi siete tra quelli che vedono rosso ogni volta che sentono o leggono il termine “derivati”, esattamente come nel caso dell’acronimo OGM?
I tuttologi non esistono, se non sui blog e sui social network. La realtà è sempre più complessa di quanto ci appaia. Ma proprio a causa di questa crescente complessità la versione del complotto è sempre la più rassicurante.