Il rally degli attivi rischiosi si prende una pausa, a causa dei continui rinvii sul secondo pacchetto di aiuti alla Grecia e di nuovi aumenti del prezzo del greggio. Ma i dati macro americani continuano a sorprendere positivamente, nel complesso.
Alla base dell’accresciuta propensione al rischio continuano tuttavia a non esserci rilevanti revisioni al rialzo delle attese di crescita quanto un graduale, apparente arretramento delle condizioni di elevata incertezza che hanno finora frenato iniziative degli investitori, costringendoli in posizioni difensive.
Nel corso della settimana il Congresso statunitense ha raggiunto l’accordo per l’estensione al resto dell’anno delle misure di stimolo fiscale, mentre in Europa restano in essere gli elevati rischi di implementazione del secondo pacchetto di aiuti alla Grecia, resi più pressanti dall’avvicinarsi della scadenza del 20 marzo, quando scadrà un titolo di stato di Atene da oltre 14 miliardi di euro. In Cina, il mercato immobiliare continua a contrarsi e forse questa circostanza (e la sua reale magnitudine) è alla base del taglio a sorpresa di mezzo punto percentuale al coefficiente di riserva obbligatoria delle banche, che è stato comunicato sabato 18 febbraio malgrado la settimana precedente fosse stato pubblicato un dato di inflazione in risalita (dal 4,1 al 4,5 per cento tendenziale). Un altro fattore di rischio che sta iniziando a preoccupare gli investitori è dato dalle crescenti tensioni tra l’Occidente e l’Iran, che hanno concorso all’aumento dei prezzi del greggio del 15 per cento nelle ultime due settimane. Tra le altre verosimili cause del rialzo vi sono i problemi in Sudan e nel Mare del Nord e le basse temperature.
Oltre ai fattori di rischio di breve termine quali Grecia, Iran e dati economici, occorre considerare l’azione delle banche centrali, che hanno finora fornito enormi quantità di liquidità e contribuito a ridurre i rendimenti obbligazionari di mercato. Questa condotta, che è in atto da marzo 2009 ma è stata contrastata da timori fiscali per gran parte dell’anno scorso, sembra essersi riaffermata nelle ultime settimane con nuove azioni di allentamento monetario: terzo atto dell’easing quantitativo da parte della Bank of England, LTRO straordinario della Bce (in replica il prossimo 29 febbraio), communication policy da parte della Fed e, questa settimana, l’annuncio da parte della Bank of Japan di acquisti di titoli governativi per ulteriori 10.000 miliardi di yen, oltre un target di inflazione fissato per ora all’1 per cento, nel quadro di una manovra di contrasto della deflazione che domina l’economia giapponese da molti anni. Data l’ancora enorme capacità produttiva in eccesso nelle economie sviluppate, l’aumento di liquidità generato dalle banche centrali è al momento destinato a trasmettersi più nei prezzi degli attivi rischiosi che in quelli di merci e servizi. Ma è importante monitorare le aspettative di inflazione di lungo termine per verificare eventuali cedimenti della credibilità dell’azione delle banche centrali.
Sul mercato del reddito fisso, è proseguito l’ottovolante greco, con l’abituale schema di pressioni rialziste sui rendimenti del Bund ad ogni apparente progresso nel negoziato (e viceversa). Più in generale, resta la considerazione che la ripresa dei mercati azionari non è ancora riuscita a far lievitare i rendimenti. In Giappone, come detto, la BoJ ha annunciato una nuova tornata di easing quantitativo, limitata a titoli di stato a scadenza entro i due anni. Secondo alcune stime, quest’anno i possessi di titoli di stato da parte delle banche centrali del G-4 (Fed, Bce, BoE, BoJ) dovrebbero toccare il 12 per cento del Pil, contro l’8 per cento del 2011.
Sul mercato azionario, la settimana ha visto una ripresa del trend rialzista grazie a dati macro migliori delle attese e speranze che il secondo salvataggio della Grecia vada effettivamente in porto entro pochi giorni. L’indice S&P 500 sta avvicinandosi al livello massimo del 2011. Le quotazioni non appaiono tuttavia ancora surriscaldate, a livello di multipli, sia in assoluto che rispetto all’ultimo picco relativo, raggiunto nell’ottobre 2009. Negli ultimi due mesi gli investitori hanno aggiunto rischio soprattutto coprendo le posizioni di sottopeso azionario. Un elemento di cautela è dato dalle indicazioni (guidance) delle società statunitensi per gli utili della prossima earnings season: le previsioni al ribasso degli utili per azione superano finora quelle al rialzo di un rapporto di 2 a 1. Il mercato potrebbe quindi cominciare ad applicare cautela ai propri acquisti. Gli investitori continuano inoltre ad alimentare i fondi azionari ed obbligazionari specializzati sui mercati emergenti.
Le materie prime recuperano in settimana circa il 3 per cento, spinte dal petrolio. Da inizio anno il Brent è salito di circa il 14 per cento e si trova oggi intorno ai 120 dollari al barile, un livello rischioso per la ripresa economica. Questo andamento di prezzo riflette essenzialmente due forze: la prima è rappresentata dal recupero della domanda grazie a maggiori livelli di attività produttiva ma anche a temperature inusualmente rigide in gran parte dell’Europa e dell’Asia settentrionale. La seconda appare il rischio di fornitura, con l’ipotesi (che pare stia concretizzandosi) che l’Iran possa interrompere preventivamente le esportazioni verso l’Europa come forma di rappresaglia per le sanzioni che sono attese entrare a regime in maggio. Questa circostanza contribuisce a sostenere la domanda di greggio, anche con finalità di accumulazione di scorte. In caso di effettiva scomparsa dal mercato della produzione iraniana, resta la possibilità di sua compensazione da parte dell’Opec oppure tramite rilascio dalla riserva strategica petrolifera. Resta comunque necessario monitorare la tendenza dei prezzi e la loro permanenza su livelli elevati.