Secondo dati Bloomberg, ad aprile di quest’anno le banche italiane detenevano 327,5 miliardi di euro di titoli di stato. Per questo numero non c’è disaggregazione, ma è verosimile attendersi che in larghissima maggioranza si tratti di titoli di stato italiani. A novembre 2011, al punto più acuto della crisi, le nostre banche possedevano titoli di stato per 247,4 miliardi. Quindi l’investimento in titoli di stato, spinto dalle due aste LTRO triennali della Bce, è cresciuto in cinque mesi di circa 80 miliardi. Ad aprile, quindi, le nostre banche possedevano titoli di stato in misura pari all’85 per cento del proprio patrimonio (capitale e riserve).
Ora (forse) capite perché, quanto e più della Spagna, il destino delle nostre banche è strettamente intrecciato a quello del nostro rischio-paese. Ancora una volta, con buona pace dei cocoriti che da mesi starnazzano di operazioni “prive di rischio” fatte dalle nostre banche con i soldi della Bce.
Altro numero di rilievo ed interesse è quello delle aspettative di mercato sul ROE delle banche italiane (Return on Equity, rendimento dei mezzi propri), che il mercato stima pari ad un misero 4,3 per cento nel 2013, contro un valore mediano di oltre il 9 per cento per le maggiori banche europee. Quindi: scarsa redditività (erosa dalle perdite su crediti e dagli accantonamenti ad esse relativi), forte e pericoloso legame con il rischio sovrano, livelli di Tier 1 ancora inferiori alla media europea.
Non serve essere analisti per giungere ad una e una sola conclusione: le banche italiane necessitano, in media, di essere ricapitalizzate. E non di poco. Forse il mercato sta cercando di segnalare questa esigenza, soprattutto dopo il “salvataggio” delle banche spagnole. Con quali fondi essere ricapitalizzate? Buona domanda, che andrebbe girata soprattutto alle ormai esangui fondazioni.