Crescono tensioni e contrasti tra gli undici paesi europei che hanno firmato l’accordo di cooperazione rafforzata per introdurre una Tobin Tax in Europa. Come racconta il Ft, la Francia spinge per una versione molto attenuata del balzello, che risulterebbe di fatto un semplice fissato bollato ed apporterebbe un gettito pressoché nullo, mentre l’Italia ha dichiarato linea rossa invalicabile l’imposizione sul mercato secondario dei titoli di stato. Il tutto con Londra e Washington pronte a dare battaglia. Scommettiamo che non se ne farà nulla?
Un paper diffuso tra gli undici paesi coinvolti nella cooperazione rafforzata elenca le aree di criticità della tassa, chiedendo alla Commissione europea di pronunciarsi nel merito. Per fare solo un paio di esempi, si chiede una valutazione d’impatto della tassa sul costo del debito, sovrano e societario, e quale sarebbe l’impatto netto del più che verosimile aumento del costo del debito rispetto al gettito prodotto dalla gabella. L’aumento del costo del debito deriva dalla perdita di liquidità conseguente all’introduzione della tassa, che determinerebbe un allargamento dello spread tra prezzo denaro e prezzo lettera. Una cosa di cui tutti (gli operatori di mercato) sono al corrente da sempre.
Altro problema fortemente distorsivo del mercato e ad alto impatto negativo sulla liquidità è l’applicazione della tassa alle operazioni di pronti contro termine (repurchase agreement, o repo), che sono transazioni generalmente di breve e brevissimo termine (quelle più diffuse spaziano dall’overnight ai pochi giorni, per poi essere rinnovate), con cui gli acquirenti istituzionali di titoli di stato finanziano le proprie posizioni. Applicare l’aliquota standard della Tobin Tax ai repo distruggerebbe il rendimento dell’operazione e farebbe venire meno una importante fonte di domanda, determinando illiquidità ed aumento di costo di emissione di nuovo debito. Non stupisce quindi che l’Italia, con i suoi costanti affanni di collocamento del proprio debito, non abbia alcuna intenzione di mettersi a giocare proprio ora con il costo di tale debito. A margine, si segnala anche la forte distorsione di un tributo che penalizza enormemente i titoli a scadenza breve e brevissima. E se pensate che il problema non si ponga perché è utile avere un debito pubblico a scadenza mediamente lunga, significa che dei mercati finanziari avete capito ben poco.
Ulteriore problema che tocca da vicino soprattutto noi italiani è l’aspetto redistributivo del tributo relativo alla sua “territorialità”, cioè al fatto che l’attribuzione di gettito non avverrebbe necessariamente a favore del paese emittente lo strumento finanziario tassato. In questo caso, resterebbe da verificare il saldo netto tra aumento del costo di emissione di nuovo debito (a carico del paese emittente tale debito) e l’incasso del gettito della Tobin Tax, che non necessariamente andrebbe al paese emittente, come visto. Altra buona ragione per fare puntare i piedi agli italiani.
Problemi largamente simili si verificano, per la natura del tributo, sulle obbligazioni societarie, anche qui in un momento in cui è opportuno affrancarsi dal credito bancario, almeno per le imprese che hanno dimensione sufficiente per emettere debito in forma di obbligazioni. In breve, questa imposta è un enorme casino, rischia di produrre demenziali distorsioni allocative, di aumentare il costo del debito nel peggiore momento possibile, di penalizzare gli emittenti indebitati, di frenare la crescita a parità di ogni altra condizione. E di confermare, in estrema sintesi, l’irrimediabile divorzio tra i politici europei e la realtà. Ognuno a modo proprio, s’intende. Angela Merkel, ad esempio, era davvero convinta che questo tributo avrebbe prodotto una imponente mietitura di risorse comunitarie, con cui addirittura contrastare la crisi. Il presidente francese, François Hollande puntava solennemente a punire la speculazione. Gli italiani, tanto equo-solidali in tutto lo spettro politico quanto finanziariamente analfabeti, già pregustavano l’alba della Nuova Era, tutto rigorosamente senza uno straccio di numero perché la nostra è una cultura umanistica per definizione e le cifre sono aride, per altrettanta definizione.
Ora nella migliore delle ipotesi avremo un morticino a gettito nullo o negativo, oppure (più improbabile) una fonte permanente di distorsioni e contenzioso fiscale tra stati. Oppure, più probabile, la cosa si trascinerà per anni e finirà nell’oblio che merita. Ma, ancora una volta (come già avvenuto per la campagna contro gli hedge fund presunti untori della crisi), guardando il dito e non la luna, avremo fatto un ulteriore passo avanti verso quella irrilevanza autolesionistica che è ormai il vero marchio di fabbrica di questo ridicolo continente.