Oggi, sul Fatto, è comparso un mini commento che chiede lumi sulla fonte dei dati da cui la Cgia di Mestre ha tratto gli esempi numerici di maggiore tassazione sul risparmio bancario, che hanno permesso al governo e ad economisti di area governativa (diciamo così), come Filippo Taddei, di fare il simpatico parallelo del numero di caffè equivalenti all’aggravio fiscale.
Noi reiteriamo (si parva licet) la richiesta alla Cgia di rendere note le basi di dati da cui sono state tratte le loro elaborazioni. Non dovrebbe essere difficile, dopo tutto. In fondo, se un oscuro blogger è arrivato a recuperare quei dati da fonti assolutamente pubbliche, limitandosi a scavare, e se allo stesso risultato è giunta una importante testata giornalistica (immaginiamo peraltro per via assolutamente indipendente dal blogger perché diversamente quest’ultimo sarebbe stato citato, essendo egli per pura casualità un collaboratore della testata medesima), è auspicabile che la Cgia ci comunichi la ricetta della Coca Cola la base dati da cui i numeri sono stati estrapolati.
E’ chiedere troppo?
P.S. Al Fatto, invece, chiederemmo di sviluppare il tema della sonora randellata che subiranno i titolari di depositi bancari a risparmio, che in questo mini commento non emerge a sufficienza. Confidiamo in una prossima ricerca di esempi numerici, magari sotto forma di nuova coincidenza con quello che leggete da tempo su questi pixel.
P.P.S. E’ arrivata la risposta della Cgia al Fatto. La trascriviamo:
Spett.le Redazione economica,
in merito al Vostro articolo apparso oggi, a Vostro avviso l’ammontare dei depositi è pari a 1,2 miliardi di euro (fonte: Abi), il tasso sui conti correnti è dello 0,39% e sui depositi dello 0,94%.
Ci permettiamo di segnalarVi che i dati riportati nel nostro studio sono stati estrapolati dalla Banca d’Italia “Bollettino Statistico I 2014” (1° trimestre 2014, ultimo disponibile). Inoltre:a) il nostro studio ha avuto come oggetto i conti correnti delle famiglie, quindi si è considerato solo l’ammontare relativo a questo aggregato. Infatti, l’ammontare dei depositi pari a 1,2 miliardi che citate, si riferisce alla somma dei depositi delle famiglie, delle imprese, della Pubblica amministrazione e delle società finanziarie diverse dalle banche.
b) L’ammontare medio dei risparmi presenti in un conto corrente, da noi stimato in 12.000 euro, è in linea con l’analogo dato rilevato dalla Banca d’Italia nello studio sulla ricchezza delle famiglie italiane.
c) Il tasso di interesse considerato è quello medio relativo ad un deposito pari a 12.000 euro;
d) Per “giacenze” superiori, il tasso tende ad aumentare. Come si può vedere nel Bollettino statistico della Banca d’Italia, il tasso per depositi medi oltre i 250.000 euro può arrivare allo 0,94%.
Vi segnaliamo che l’oggetto della nostra analisi era quello di dimensionare l’inasprimento della tassazione sui conti correnti di una famiglia media italiana. E’ chiaro che se si sposta lo sguardo su famiglie con maggiore “giacenza”, gli aggravi sono maggiori. Per chiarezza, ai colleghi di Repubblica era stata fornita anche una esemplificazione di possibili aggravi (…)
Pertanto, prima di dare dei giudizi sommari ed imprecisi sul lavoro degli altri, Vi preghiamo di documentarVi meglio.
Che dire? E’ già un sensibile progresso sulla strada della conoscenza e della trasparenza. Sfortunatamente, non tutto quadra: dal Bollettino della Banca d’Italia citato si evince che lo stock complessivo di depositi bancari e postali di famiglie consumatrici, la tipologia di rapporto rilevante ai nostri fini (tavola B6.2) è di 909 miliardi di euro a fine 2013, non i 453,2 indicati da Cgia. Altro punto: il costo medio della raccolta da famiglie consumatrici su conti correnti a vista, a dicembre 2013, era effettivamente lo 0,13% sulla fascia di giacenze da 10.000 a 50.000, dove si collocherebbe la media delle famiglie italiane, secondo la Cgia. Allo stesso modo, su depositi oltre i 250.000 euro, il tasso è (sorpresa sorpresa) proprio dello 0,94%. Si noti, per famiglie consumatrici, non per imprese (tavola E2.2). Ma nulla è dato sapere riguardo i depositi a termine vincolati, che rendono ben più del conto corrente a vista.
Ma da dove esce, quindi, lo stock di 453 miliardi di conti correnti a vista delle famiglie italiane? Pensiamo derivi dalla tavola B6.1 del Bollettino Bankitalia citato e linkato. Se le cose stanno così, Cgia si “dimentica” di una somma di depositi bancari di altrettanti 450 miliardi di euro, quelli rappresentati da depositi a durata prestabilita, rimborsabili con preavviso, certificati di deposito. Questi sono quelli che rendono di più, e sono quelli correttamente utilizzabili come strumenti di risparmio, a differenza dei conti correnti infruttiferi, che sono (o dovrebbero essere) solo strumento di pagamento pressoché infruttifero.
Che dire, quindi? Che si conferma quanto da noi ipotizzato giorni addietro: alla Cgia non conoscono la gamma di depositi bancari diversi dai conti correnti, che sono ben la metà del totale. Fare una analisi così parziale del quadro del risparmio bancario italiano (ed ignorando ad esempio tutto lo stock di obbligazioni bancarie detenute dalle famiglie, che pagheranno il 26% sulle cedole), fornisce un quadro molto parziale e distorto, oltre ad un assist propagandistico all’esecutivo, colto al volo. Azzardiamo: forse lo “studio” della Cgia non è proprio il massimo del rigore metodologico. Sine ira ac studio, diciamo per fingere di restare in tema e di non conoscere le lingue straniere.