Ad intervalli regolari, nel nostro paese vengono importate bufale. Ancor più spesso, si tratta di bufale prodotte in Italia ed esterovestite. Non si tratta di formaggi, ovviamente, ma di panzane. Meglio se di dichiarata provenienza statunitense, perché gli Usa restano un modello, positivo e negativo, per noi piccoli abitanti della periferia e provincia dell’Impero. Dalla bufala su “facciamo come gli americani, scarichiamo tutto!”, che ancora resiste nella hit parade delle scemenze domestiche, e che giunse ad avere come testimonial il buon Angelino Alfano a quella, più sofisticata, diffusa da Matteo Renzi sull’espansione fiscale di Obama come modello da seguire in Europa.
Se Renzi avesse letto le cronache dell’epoca, avrebbe scoperto che lo stimolo fiscale di Obama fu complessivamente di assai ridotta dimensione (circa lo 0,5% del Pil) e breve durata, esaurendo la maggior parte dei propri effetti entro un paio d’anni dall’introduzione. Ma tant’è. Altra bufala contraffatta di provenienza americana è quella sulla “nazionalizzazione” delle banche statunitensi, come pallottola d’argento per risolvere i problemi anche di quelle italiane. Di quell’epopea immaginaria hanno narrato Alesina e Giavazzi, e Luigi Zingales. Qui e qui la spiegazione del perché quelle dotte narrative erano solo l’ennesima fallacia italiana del filone “facciamo come”.
Oggi ci è caduto l’occhio su una spericolata dichiarazione di Enrico Rossi, governatore della Toscana e candidato ormai di lungo corso alla segreteria del Pd. Il quale Rossi, parlando con i giornalisti a margine della seduta solenne del Consiglio regionale, che gli chiedevano un giudizio sul suggerimento di Bersani a Renzi in ipotesi di fallimento degli aumenti di capitale richiesti al mercato (“In caso può intervenire la mano pubblica. Se serve, si fa, senza tante balle”), ha ritenuto di spingersi ben oltre, ed ha prodotto questo gioiello di dichiarazione informata sui fatti:
«Io l’avevo detto un po’ prima. Secondo me imitare Bush, non Obama, e fare un intervento di nazionalizzazione delle banche e, successivamente, di reimmissione sul mercato per salvarle, forse sarebbe la strada più diritta e più liberale» (Ansa, 30 novembre 2016)
Quindi la notizia è che, per il compagno Rossi (quello che voleva i “Frecciarossa del Popolo“), Bush è il vero liberale perché ha dapprima nazionalizzato le banche del suo paese, e poi le ha restituite al mercato. Certo, come no. Eppure, non sarebbe difficile andare a leggersi cosa è effettivamente accaduto, in quel periodo. È accaduto che il governo degli Stati Uniti ha obbligato le banche del paese ad emettere delle azioni privilegiate sottoscritte dal Tesoro. Titoli di debito ibridi con tasso d’interesse del 9%, serviti per rafforzare il capitale di banche rimaste rigorosamente in mano ai gruppi di controllo (privati) ed al loro management. Le maggiori banche americane rimborsarono il debito alla prima occasione utile, spesso pochi mesi dopo l’emissione, e nel 2012 non vi era praticamente più alcuna istituzione creditizia statunitense avente il Tesoro come creditore a tassi da strozzo. Molte banche furono costrette ad emettere quegli strumenti ibridi senza averne esigenza, per evitare che vi fosse uno stigma in capo a quelle che effettivamente avevano difficoltà ad approvvigionarsi di capitale. Se ne liberarono rapidamente perché, attaccate a quegli strumenti, vi erano limitazioni su pagamento di dividendi e compensi al management. E quelle limitazioni vennero introdotte dall’Amministrazione Obama, visto che la struttura originaria del programma non prevedeva praticamente vincoli.
Tutto fu questa operazione, tranne che una nazionalizzazione. E le banche non furono “reimmesse sul mercato”, perché non smisero mai di operarvi, con lo stesso management e gli stessi gruppi di controllo. Ma è comunque notevole che un esponente della sinistra del Pd si sia fatto il film che gli Stati Uniti (con George W. Bush, nientemeno) abbiano “nazionalizzato” il proprio sistema bancario. Non è chiaro se si tratti di chiacchiere da bar, di quelle che tanto successo hanno in questo paese, oppure se Rossi abbia dato retta alle letture della vicenda date da Alesina, Giavazzi e Zingales.
Come che sia, è fantastica questa inclinazione della politica italiana a far sfoggio di crassa ignoranza e provincialismo, inventandosi à la carte modelli esteri che mai sono esistiti, come una sorta di best practice o di ipse dixit a cui aggrapparsi quando viene il momento di raccontare stronzate agli elettori, con una stampa che si gira dall’altra parte o riecheggia entusiasta. Date queste premesse e queste “tecniche narrative”, perché stupirsi della miserabile condizione del paese?