Inventarsi la lezione americana

Editoriale sul Corriere di Francesco Giavazzi ed Alberto Alesina sulle “lezioni” che gli Stati Uniti hanno dato all’Eurozona in termini di più rapido ritorno ad una specie di normalità macroeconomica e di fuoriuscita più o meno rapida dalla crisi. E’ quasi convincente, davvero.

Gli Stati Uniti stanno recuperando, sia pure ad un esile passo del 2 per cento di Pil annuo. Il deficit è in calo, le spese vengono tagliate, la disoccupazione sta venendo riassorbita. In Eurozona, invece, buio pesto. Cosa è andato storto? Quali le differenze tra noi e loro? Dove dovremmo agire, ora? Ecco qui:

«Alcune di queste sono difficili da eliminare nel breve periodo: la maggiore flessibilità dei mercati americani, in particolare quello del lavoro, la mancanza in Europa di una politica fiscale comune, le divergenze fra i Paesi dell’euro che impediscono una maggiore integrazione dell’eurozona e legano le mani alla Bce. Ma una cosa importante la potevamo fare, imparando dagli Stati Uniti: attaccare alla radice e senza indugi il problema delle banche»

Tutto questo perché, secondo A&G, le banche americane hanno beneficiato del TARP, cioè di iniezioni di denaro pubblico sotto forma di preferred shares, cioè di capitale ibrido che frutta al Tesoro un interesse e viene conteggiato come mezzi propri, e peraltro non disturba l’azionista-manovratore ed i gruppi di controllo delle banche. Un po’ come i nostri Tremonti Bond e Monti Bond, a ben vedere, come invece non ha ancora capito il nostro buon Grillo berciante.

Quanto scrivono Alesina e Giavazzi si scontra con un problema di consecutio temporum: infatti il TARP fu rimborsato dalle maggiori banche americane (quelle con la maggior quota di mercato di depositi ed impieghi) a tempo di record, spesso in modi che hanno fatto alzare più di un sopracciglio. La realtà è che gli Stati Uniti hanno dato tempo all’economia di ristrutturarsi, nello specifico hanno dato tempo al settore privato di ridurre il proprio grado di indebitamento, mentre il settore pubblico compensava questo deleveraging restando anche pesantemente in rosso (il rapporto deficit-Pil, un paio di anni addietro era ancora in doppia cifra, ed ha chiuso il 2012 al 7 per cento). Tutto ciò con le banche ricapitalizzate non c’entra molto. Senza parlare di tutte le operazioni non convenzionali della Fed, che hanno permesso alle banche di creare utili da trading su reddito fisso, materie prime e cambi, oltre a poter iscrivere a bilancio utili da rivalutazioni di derivati creditizi. La storia va raccontata tutta, non à la carte ad uso e consumo di lettori distratti e/o non specialisti.

Sappiamo invece che Alesina in questi anni ha decisamente mal sopportato la politica economica obamiana, come ricorda il suo endorsement a favore di Mitt Romney, alle ultime presidenziali, vergato con parole inequivocabili:

«Una rielezione di Obama significa l’approvazione di uno Stato più intrusivo nell’economia: la conferma della costosa riforma del sistema sanitario, la regolamentazione della finanza, politiche favorevoli ai sindacati amici del Partito democratico, un aumento della pressione fiscale, una forte redistribuzione del reddito dai ricchi ai poveri con un sistema fiscale ancor più progressivo, anche a costo di ridurre la crescita dell’economia. Tutto ciò renderà gli Stati Uniti più simili all’Europa»

Ricordate? Anche quella era una “lezione americana”, no? Oppure A&G ci stanno dicendo che sono bastati i soldi del TARP (tacendo di tutte le altre “agevolazioni” al sistema creditizio statunitense, in primo luogo un habitat ad esse molto favorevole, per opera dell’azione della Fed) per consentire all’economia di rimbalzare in modo convincente?

Non che lo stesso Giavazzi sia stato da meno del suo storico sodale, peraltro. Eccolo nel marzo 2009, impegnato a bacchettare il piano Paulson, che minacciava di degenerare:

«Il piano Paulson — che prevedeva una garanzia pubblica sui titoli detenuti dalle banche, o addirittura in alcuni casi il loro acquisto, e che rimane l’unico piano che avrebbe potuto funzionare—è stato di fatto abbandonato. A un certo punto il team economico di Obama si è lasciato sedurre dall’idea di nazionalizzare le banche, senza capire che questo è il modo infallibile per allontanare ancor più gli investitori dalla Borsa. E infatti, due venerdì fa, quando molti parlavano di nazionalizzazione, Citigroup è crollata del 22 per cento trascinando con sé tutta la Borsa. La nazionalizzazione spaventa, ma non per i motivi per cui spaventerebbe in Europa, cioè per il rischio che la politica influisca sulla gestione del credito: difficilmente negli Stati Uniti accadrebbe ciò che è accaduto qualche giorno fa in Francia, dove il presidente Sarkozy ha nominato un suo collaboratore a capo di una grande banca. Spaventa perché l’intervento dello Stato nel capitale delle banche potrebbe diluire i vecchi azionisti, e quindi ridurre il valore delle loro azioni. Resisi conto di questo errore, i ministri di Obama hanno escluso di voler nazionalizzare le banche, ma poi lo hanno sostanzialmente fatto»

Ora, qui occorre decidersi: a parte che i corsi azionari di un titolo crollano ogni volta che la società viene pesantemente ricapitalizzata (come nel caso di una privatizzazione, ovviamente), ma quindi per Giavazzi il sistema bancario americano è stato risanato perché sono state usate azioni privilegiate e non ordinarie, permettendo ai gruppi di controllo che avevano causato il crack di restare in piedi?  Ma neppure quello, in realtà, visto che Giavazzi imputava ad Obama di aver comunque nazionalizzato. Le gioie del revisionismo storico.

E per l’Eurozona, e quindi per noi poveri italici? Presto detto: serve ricapitalizzare le banche, per metterle in condizione di tornare a prestare. E come farlo, visto che azionisti privati non ce ne sono (vedremo tra poco perché)? Presto detto: con i soldi dell’ESM. Scrive infatti oggi il Dinamico Duo:

«Nell’eurozona abbiamo seguito la sequenza sbagliata. Occorreva prima rafforzare le banche affinché la loro debolezza non desse luogo a una contrazione dei prestiti, e dopo, solo dopo, ridurre i deficit tagliando le spese. Invece abbiamo fatto esattamente il contrario. Non abbiamo ricapitalizzato le banche e anziché tagliare le spese abbiamo aumentato le imposte. Alcuni Paesi, fra cui l’Italia, hanno rifiutato i fondi messi a disposizione, sia pure tardivamente, dall’Europa per ricapitalizzare le banche. Non li abbiamo voluti per due motivi. Per lo stupido orgoglio di non accettare che qualcun altro metta il becco nelle nostre banche: «Le nostre autorità sono più che sufficienti» (lo si è visto alla Banca Popolare di Milano!). E perché le Fondazioni bancarie, ovvero i padroni delle banche, non hanno i fondi per ricapitalizzarle, e non vogliono diluire la loro proprietà»

Qui c’è del vero, del verosimile e delle palesi forzature. Intanto, chiedere soldi all’ESM implica che quel debito finisca sul groppone dello stato sovrano, e la prospettiva non è esaltante, come immaginate. Sarà anche “stupido orgoglio” o volontà dei gruppi di controllo (Fondazioni in testa) di mantenere il controllo delle banche, ma anche Pantalone avrebbe seri problemi a seguire la strada spagnola. Ma allora, per la miseria, non avevamo i (Tre)Monti Bond, che sono concettualmente identici alle preferred shares del TARP, ma praticamente nessuno li ha chiesti, tranne pochi disperati? Com’è ‘sta cosa?

Certo, se A&G aguzzassero la vista vedrebbero che la Spagna non è uscita da alcun tunnel, e continua ad avere un sistema bancario in condizioni drammatiche e generatore di credit crunch, oltre ad essere con alta probabilità costretto tra non molto a farsi prestare altri soldi perché le sofferenze lo stanno distruggendo. La bontà di una azione dipende dai suoi esiti, non dal contenuto pedagogico di un editoriale. Sin quando non tornerà un minimo di crescita, tale da stabilizzare l’economia ed interrompere l’azione corrosiva delle sofferenze, nessuna ricapitalizzazione bancaria permetterà di bloccare l’imputridimento dell’economia.

Ma non per A&G e le loro magiche correlazioni causali, s’intende.

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