Gli anglosassoni lo chiamano level playing field, che sarebbe l’eguaglianza delle condizioni di gioco, in senso lato. Il concetto, in questi anni disgraziati, tende ad identificarsi con la radice del vittimismo italiano, soprattutto nei rapporti con la Commissione Ue, in massimo grado nel settore bancario. Ad esempio, l’Abi per lungo tempo ha lamentato lo svantaggio rispetto alle banche di altri paesi, che di norma possono detrarre dall’imponibile le sofferenze nello stesso anno in cui si attua lo stralcio, mentre le italiane avevano, nel regime precedente, una lunga transizione. Problema superato qualche anno addietro, dal governo Letta.
Oggi, nel momento in cui non abbiamo un’unione bancaria intesa nel senso di unione di trasferimenti, che di solito è quello che gli orgogliosi italiani chiedono alla Ue, è comunque in atto un meritorio processo di uniformazione per opera dell’iniziativa della European Banking Authority (EBA). Un ambito di applicazione di tale omogeneizzazione è quello del riconoscimento delle posizioni creditorie incagliate. L’iter inizia con i cosiddetti past due, cioè debiti scaduti e sconfinati da un dato periodo di tempo, oltre il quale vanno riclassificati tra i deteriorati, con tutto quello che ciò implica.
Ebbene, alla fine dello scorso anno l’EBA ha elaborato i nuovi criteri guida per considerare un fido come past due, cioè come deteriorato. E per l’Italia è subito dramma. Attualmente, da noi un credito viene classificato come deteriorato se scaduto da oltre 90 giorni ed eccedente il 5% dell’esposizione totale del debitore. Questa cosiddetta “soglia di materialità ” è stata decisa dalla Banca d’Italia. Le linee guida di EBA portano tale soglia all’1%, eventualmente elevabile dall’autorità nazionale competente al 2,5%. Ovviamente, per molte banche italiane, l’autorità competente è ora la Bce, e non più Bankitalia.
Dove stanno i dolori, quindi? Nel fatto che, secondo uno studio dell’Abi, ogni soglia di materialità inferiore al 4% trasformerebbe in incagli una notevole massa di crediti oggi classificati in bonis. E sarebbero casini notevoli, sia per le banche creditrici che per le imprese affidate. Fortunatamente, EBA ha previsto che le nuove norme non entrino in vigore prima della fine del 2020 ma questo è un sollievo apparente, visto che di fatto il periodo transitorio verrebbe utilizzato dalle banche per chiedere il rientro di molte esposizioni pericolanti. Visto che in Italia il tessuto delle piccole e medie imprese poggia pressoché esclusivamente sulle banche per le proprie esigenze di finanziamento, il rischio che in molti non ce la facciano è assai poco teorico.
C’è poi un altro piccolo grande problema, derivante da questa nuova classificazione degli incagli, e riguarda la pubblica amministrazione. Come ben spiegato su MF da Andrea Ferretti, docente di Economia delle imprese familiari all’Università di Verona, attualmente
«[…] una direttiva della Banca d’Italia prevede, semplificando, che sia sufficiente che il debitore pubblico effettui un qualsiasi pagamento su una delle posizioni sconfinate o scadute per sottrarre l’interra esposizione del soggetto alla segnalazione in past due (e quindi al credito deteriorato)»
Queste direttive della Banca d’Italia sono state costruite su misura di un sistema economico in grave affanno e con una pubblica amministrazione pessima pagatrice, un problema che ancora oggi non appare risolto ma solo intaccato nei tempi medi di pagamento. Le linee guida di EBA non prevedono al momento alcuna eccezione del genere. Osservazione di Ferretti:
«E allora mi chiedo: come reagiranno banche e società di factoring quando si troveranno ad anticipare crediti vantati da imprese verso un soggetto pubblico in past due e quindi tecnicamente in default? E, soprattutto, che succederà alle nostre aziende se il canale della cessione dei crediti vantati verso la Pa, notoriamente caratterizzati da tempi di pagamento biblici, si inaridisse o diventasse costosissimo?»
Ecco, appunto. Diciamo che questo è un disastro multiplo che attende di accadere. Due considerazioni, quindi. La prima è che il level playing field europeo sui crediti deteriorati mostra che il sistema banche-imprese italiano rischia di finire assai male. La seconda, che diviene fondamentale che il governo italiano entri nella partita della discussione sulle linee guida, prima che vengano approvate dalla Commissione e divengano cogenti. In altri termini, serve evitare di fare oh come accaduto per per la direttiva BRRD, che resterà nella storia come l’esempio più eclatante della superficialità degli italiani a gestirsi gli affari propri in un contesto comunitario. Se ripeteremo l’approccio, sarà perfettamente inutile versare fiumi di inchiostro patriottico e prendersela con i burocrati di Bruxelles e con la Germania. Ma, anche ammettendo di avere successo ed ottenere deroghe importanti, oggi appare improbabile evitare una stretta sugli standard italiani di riconoscimento dei crediti deteriorati.
Attenti a quello che desiderate, cari italiani: potrebbe avverarsi. E il level playing field rischia di essere la nostra livella, nell’accezione usata dal principe Antonio De Curtis.