Oggi il governatore del Veneto, Luca Zaia, ha espresso un auspicio:
«Se gli obbligazionisti saranno ristorati al cento per cento, lancio il grido d’allarme per quei 205.000 risparmiatori che hanno acquistato azioni non per speculare, ma ritenendo le azioni più sicure delle obbligazioni e investendovi i pochi loro risparmi: secondo me andrebbero trattati alla stregua di obbligazionisti e non di azionisti. E penso e spero che la partita sia chiusa, ma che, nell’accordo, ci siano ancora margini per recuperare questo aspetto sociale»
L’appetito vien ristorando, in effetti.
La logica sottostante il ragionamento di Zaia è che, poiché viviamo in un paese di analfabeti economico-finanziari, proni a non capire un accidente di dove caxxo mettono i loro soldi, non conoscendo la differenza tra un deposito bancario ed un appendiabiti, allora serve partire dalla presunzione che vi sia truffa o seminfermità mentale in ogni atto dispositivo del risparmio compiuto dagli italiani. Ecco il presupposto del ristoro.
Persino chi ha messo soldi in una cooperativa di credito deve ritenersi raggirato per non aver compreso che quel denaro era a rischio. Anzi, facciamo così: per legge eliminiamo il concetto di rischio, e procediamo ai ristori. Poi, resterebbe da capire chi ristorerà i contribuenti italiani, divenuti anch’essi azionisti delle due banche venete (e presumibilmente di qualche altra, strada facendo), non sapendo a cosa andassero incontro. Un paese di infermi di mente per decreto. Che si dotano di politici funzionali a questa condizione. Perché ogni italiano, alla nascita, è truffato: gli hanno venduto l’Italia allo sportello.