Chiedimi se sono Felice

Intervista “programmatica” ma anche “di principio” di Repubblica ad Emanuele Felice, ordinario di Politica economica all’Università “Gabriele D’Annunzio” di Chieti-Pescara, oltre che saggista e storico dell’economia, nuovo responsabile economico del Partito democratico. “Di principio” perché mette in chiaro le chiavi di volta ideologiche di Felice. Focalizzate le quali, di “programmatico” temo resterà pochino, di “operativo” ancor meno. Proviamo a spigolare, quindi.

Su “noi e l’Europa”, antica sitcom oscillante tra farsa e tragedia, Felice ha le idee manieristicamente chiare:

Noi abbiamo un debito pubblico che non possiamo semplicemente scaricare sulle future generazioni e che preoccupa anche i nostri partner europei. Al tempo stesso siamo il Paese che cresce meno. Da questa situazione di stallo possiamo uscire con politiche espansive ma dobbiamo impegnarci a cambiare. È un patto che serve all’Italia e all’Europa.

Ricorda vagamente il “ma anche” di veltroniana memoria, ma non mi dispiace. Dove si firma? Questo però, come dico sopra, è il “principio”. Come si declina programmaticamente? Ehm:

Dobbiamo pensare a una nuova Bretton Woods per porre dei limiti alla globalizzazione finanziaria, recuperare margini per interventi sul fronte sociale e salvare cosi il nostro modello di “società aperta”.

Vaste programme ma il riferimento a Bretton Woods è un evergreen. Ma questo, ripeto, è il “principio”. Ecco il “programma”:

Estirpare i paradisi fiscali. Introdurre una Tobin tax globale sui movimenti speculativi di capitale. O ancora: imporre alle multinazionali un bilancio globale e il pagamento delle tasse in tutti i Paesi in proporzione alle vendite che realizzano. Pensi che solo da questa misura l’Italia potrebbe ricavare tra gli 8 e i 10 miliardi ogni anno. Non sono pochi per impostare politiche concrete per la crescita: rinnovamento della pubblica amministrazione, riforma del fisco, investimenti in istruzione e ricerca e nella riconversione ambientale.

Très vaste programme, Monsieur Heureux. “Estirpare i paradisi fiscali” è plasticamente suggestivo. Da ciò seguono, nell’ordine: l’immancabile “Tobin Tax globale”, che mai manca in ricette di questo tipo; e a stretto giro la tassazione dei ricavi, che a sinistra piace sempre di più e potrebbe tornare utile anche in Italia quando le basi imponibili si saranno inaridite definitivamente.

A parte ciò, e dopo aver messo d’accordo il pianeta su misure fiscali che o sono globali o non sono, giù per li rami dai massimi sistemi alle nostre contrade, questa operazione “Bretton Woods 2, la vendetta”, ci donerebbe un jackpot di ben 8-10 miliardi, con cui puntellare una spesa pubblica di circa 800, e con cui promuovere la rivoluzione. Son cose.

Sul welfare, Felice è contrario a Quota 100, perché servono risorse per i lavoratori precari, mentre considera quella sull’articolo 18 una “discussione superata”. Interverrebbe solo invertendo l’onere della prova sui licenziamenti discriminatori, dal lavoratore al datore di lavoro. Vi confesso che non ho capito quest’ultimo punto, a meno che Felice intendesse che ogni licenziamento individuale è da intendersi come discriminatorio, e quindi l’imprenditore deve spiegare perché non lo sarebbe. Se così fosse, avremmo reintrodotto l’articolo 18, e certamente avremmo “superato la discussione” al riguardo. Ma andiamo oltre.

Segue immancabile domanda, che rappresenta il test ideologico per ogni politico, e praticamente il nuovo gioco di società dei circoli della nostra intellighenzia. Ve la riporto tutta:

Salverebbe l’Alitalia con i soldi pubblici?
«Vede, su Alitalia negli ultimi decenni è mancata una politica industriale, un pensiero strategico. Qui come per altri casi. E il risultato è che alla fine ci ritroviamo sempre a parlare di interventi pubblici a favore di aziende in crisi, dettati esclusivamente da interessi elettorali di breve periodo. Noi dobbiamo cambiare radicalmente approccio. Dobbiamo tornare a fare politiche industriali degne di questo nome, a partire da piani industriali coraggiosi e onesti.

Scusate, voi vedete la risposta alla domanda? Perché io non riesco a scorgerla, dietro i grandi principi. Se invece sono io ad essere miope, fatemi sapere. Sino ad allora, per me il professor Felice non ha risposto alla domanda su che fare di Alitalia. Che sinora agli italiani è costata una decina di miliardi totali. Ma non temete: appena tornerà Bretton Woods ed avremo estirpato i paradisi fiscali e diserbato le multinazionali con Tobin Tax e tassazione dei ricavi, avremo un gettito all’incirca pari al costo cumulato del nostro vettore, con cui costruire un castello di carte a Bad Godesberg.

L’intervista si chiude con Felice che rimarca l’esigenza di un investimento sui giovani, a livello professionale, con l’immancabile green economy. Ma anche un investimento sulla vita dei giovani:

Sui mutui sono radicale: so che il ministero dell’Economia sta preparando un provvedimento che estende fino all’80 per cento la garanzia pubblica sui mutui per gli under 35. Io penso che si possa arrivare al 100 per cento a favore dei giovani laureati. Chi si laurea deve essere premiato anche così.

Ora, io non so se serva premiare i neolaureati con garanzia pubblica sui mutui anziché aiutandoli a trovare un lavoro “vero”, ma forse le due cose sono in qualche modo connesse. Nell’attesa che i “giovani” under 35 ricevano il mutuo di cittadinanza, buon lavoro al responsabile economico del Pd.

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