Il “diritto acquisito” ai sussidi europei

Ora che lo psicodramma dell’elezione del capo dello Stato si è concluso, e può quindi iniziare la litania di richieste al premier, caratteristica di ragazzi difficili che faticano a restare dentro un percorso di recupero, segnaliamo il prossimo casus belli di una classe politica di analfabeti disfunzionali di sola andata, già affiorato per mano del solito noto.

Nei giorni scorsi, probabilmente sollecitato da una maliziosa domanda -retorica- di qualche giornalista italiano, un portavoce della Commissione Ue ha “confermato” (diciamo così) che l’Italia tra qualche mese potrebbe vedersi ridurre la dotazione di fondi del dispositivo di ripresa e resilienza, relativamente a parte del contributo finanziario massimo non rimborsabile, cioè alle sovvenzioni.

Non provocatemi, non so leggere

Malgrado fosse impegnato a cercare nomi per il casting sul Quirinale e a enumerare le cose da fare, Matteo Salvini si è gettato sulla cosiddetta notizia, lanciando un sovrano monito per il tramite delle agenzie di stampa:

Non è il momento delle provocazioni. In una fase di crisi geopolitica, energetica, logistica e di aumento del costo delle materie prime, anche solo ipotizzare tagli ai fondi europei destinati all’Italia è inaccettabile.

Che ricorda molto le famose reazioni da sistema nervoso vegetativo che caratterizzano l’elaborazione politica del personaggio. Il frastuono della pugna e delle pugnette per l’elezione del capo dello stato ha rapidamente spinto verso il temporaneo oblio la levata di scudi del segretario pro tempore della Lega.

Quasi certamente, tuttavia, il tema tornerà di attualità, in vista della scadenza posta alla fine del primo semestre 2022. Per capire di cosa parliamo occorre leggersi il testo del Regolamento Ue 2021/241, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 febbraio 2021, che istituisce e norma il dispositivo per la ripresa e la resilienza.

Tra prestiti e sovvenzioni

Confusi? Ecco la premessa: i fondi europei del cosiddetto Recovery Fund si compongono di prestiti (da restituire) e sovvenzioni (da non restituire). Entrambe le tipologie di erogazione sono condizionate alla realizzazione di piani di investimento concordati con la Commissione europea nell’ambito di alcune linee guida. L’importo massimo dei prestiti è stato fissato nella misura del 6,8% del reddito nazionale lordo di ciascun paese nel 2019, calcolato da Eurostat nell’aggiornamento di maggio 2020.

L’importo massimo delle sovvenzioni è calcolato per il 70% su dati definitivi di Pil del 2019 e per il 30% sul dato medio del Pil del biennio 2020-21, che sarà reso definitivo entro il 30 giugno 2022. Su questo 30% di contributo finanziario non rimborsabile, l’Italia rischia un ridimensionamento dell’erogazione.

In particolare, il punto (37) delle considerazioni introduttive al Regolamento, recita:

Al fine di garantire un contributo finanziario significativo commisurato alle esigenze reali degli Stati membri relative all’esecuzione e al completamento delle riforme e degli investimenti previsti nel piano per la ripresa e la resilienza, è opportuno definire un contributo finanziario massimo disponibile per gli Stati membri nell’ambito del dispositivo, per quanto concerne il sostegno finanziario non rimborsabile.

Il 70 % di tale contributo finanziario massimo dovrebbe essere calcolato sulla base della popolazione, dell’inverso del PIL pro capite e del relativo tasso di disoccupazione di ciascun Stato membro. Il 30 % di detto contributo finanziario massimo dovrebbe essere calcolato sulla base della popolazione, dell’inverso del PIL pro capite e, in pari proporzioni, della variazione del PIL reale nel 2020 e della variazione aggregata del PIL reale durante il periodo 2020-2021, basandosi, per i dati non disponibili al momento del calcolo, sulle previsioni della Commissione per l’autunno 2020, da aggiornare entro il 30 giugno 2022 con i risultati effettivi.

Calcolo a consuntivo

Il rinvio operativo a questa premessa si trova all’articolo 11 e in particolare al punto 2 del medesimo, che recita:

Il calcolo del contributo finanziario massimo ai sensi del paragrafo 1, lettera b), è aggiornato entro il 30 giugno 2022 per ciascuno Stato membro sostituendo i dati delle previsioni economiche di autunno 2020 della Commissione con i risultati effettivi relativi alla variazione del PIL reale per il 2020 e alla variazione aggregata del PIL reale per il periodo 2020-2021.

In pratica, l’entità del contributo complessivo è stata stimata utilizzando le previsioni economiche della Commissione, formulate nell’autunno 2020. A metà 2022 si giungerà alla cristallizzazione dell’importo definitivo, o meglio del 30% di esso, in base ai dati di crescita effettiva del Pil del 2020-21.

Ora, poiché da noi è in corso una gigantesca ola su un boom economico senza precedenti, alimentata soprattutto dall’entusiasmo del ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, che non perde occasione per rimarcare l’evento storico a chiunque gli chieda l’ora, è fatale che “qualcuno” giunga a pensare: ehi, ma se stiamo crescendo abbestia, non è che al momento del ricalcolo ci riducono il “regalo”?

Siamo andati “meglio” del previsto

Ecco, sì. Ma cose note, da sempre. Non per tutti, evidentemente. Per chi fosse interessato, queste erano le stime d’autunno della Commissione nel 2020. Per il nostro paese erano una contrazione del 9,9% nel 2020 e una crescita del 4,1% nel 2021. I dati a consuntivo, invece, sono di un crollo di 8,9% nel 2020, quindi meglio della stima di riferimento.

Nel 2021 abbiamo registrato +6,5% a fronte di stime di poco più del 4%. C’è, quindi, un miglioramento a consuntivo nel biennio e la formula di allocazione definitiva delle risorse del Recovery Fund ci dice di quanto vedremo ridotta l’erogazione della sovvenzione. Spoiler: non sarà un importo devastante, comunque.

Nulla di “provocatorio” né, soprattutto, di “imprevedibile”. Almeno, per chi fa politica in modo consapevole ed è pienamente e felicemente uscito dalla fase anale. Dopo di che, se davvero ci sarà qualcuno disposto a invocare “l’orgoglio nazionale” strepitando “quei sussidi sono nostri, guai a chi ce li tocca”, si accomodi pure. Troverà, temo, numerose orecchie attente tra il popolo che si assiepa sugli spalti social, pronto a impugnare l’hashtag.

Questa vicenda confermerà che l’Italia è due volte vittima. In primo luogo, del proprio “successo” economico, o meglio del rimbalzo dopo aver guardato nell’abisso. In secondo luogo, del proprio analfabetismo di sola andata, che porta a vedere “provocazioni” e complotti anche in regole contrattuali minuziosamente codificate.

Ma si sa, questo è il paese dei “diritti acquisiti”, quindi c’è coerenza culturale in tali “rivendicazioni”. Come quella del diritto al ridicolo, del resto.

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