Mercati globali in preda a violenti spasmi ma Donald Trump e i suoi sicofanti non si lasciano intenerire: bisogna “prendere la medicina”, ha ordinato il boss, mentre i suoi luogotenenti (Lutnick, Navarro, Bessent) sono ormai parte degli arredi degli studi televisivi statunitensi, coi loro risoluti niet a ogni forma di clemenza chiesta da risparmiatori e investitori. Pare un po’ il processo di rieducazione delle masse attuato dai Khmer Rossi ai tempi che furono.
A proposito di investitori, si osservano le prime forme di “rimorso del compratore” (di un piano di suicidio collettivo) con la vera e propria crisi di nervi su X di Bill Ackman, che pare sia pesantemente investito in asset a stelle e strisce, cosa che la dice lunga sul suo acume professionale, e che è talmente disperato da impetrare la grazia del boss incolpando Lutnick di voler distruggere il mercato azionario “perché è lungo con leva sul reddito fisso”. Salvo esibirsi poche ore dopo in una penosa retromarcia che ne indica il grado di maturità.

Oligarchi oltre l’orlo di una crisi di nervi
Ora, che i bond possano guadagnare quando l’azionario crolla ci può stare ma se la “medicina” va in sovradosaggio, alla fine arriva una devastante crisi di credito che attenta alla stabilità finanziaria. Quindi, fermo restando che io non capisco come Howard Lutnick, uno che vuole riportare in America “un esercito di milioni e milioni di esseri umani che girano piccole viti per fare gli iPhone”, possa essere rimasto trent’anni alla guida del broker Cantor Fitzgerald, direi che si conferma che questi Master of the Universe, anche dopo aver visto il bacio della pantofola da parte di Jeff Bezos e dell’ex efebo convertito al testosterone, Mark Zuckerberg, sono solo dei piccoli miserabili uomini, e forse definirli uomini è troppo nobile.
Anche l’altro grande oligarca d’America, Jamie Dimon, boss di JPMorgan, uno che a gennaio aveva invitato ad “andare oltre” e non farsi prendere dall’ossessione dei dazi, perché se i medesimi servono alla “sicurezza nazionale”, sono un bene, ora scrive ai suoi azionisti che vede rischi inflazionistici su un’economia che stava già rallentando. Acuto, non c’è che dire.
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Ora, io vi ho anticipato già parecchie settimane addietro la fine della luna di miele tra mercati e Trump. Poi vi ho avvertito, un mese addietro, che i mercati avevano ormai lanciato la sfida al palazzinaro bancarottiere. Mi sono preso i lazzi di qualche avventore da bar social, che mi ha chiesto come fosse mai possibile che “mercati fatti da miliardari potessero prendersela con un governo fatto e retto da miliardari”. Eppure. But still, direbbero quelli che sanno l’inglese.
Alla fine, il famoso “Liberation Day” è stato in realtà la cerimonia di apertura delle porte dell’inferno. Tra gli oligarchi di corte, il povero Elon Musk tira fuori a tempo scaduto il santino di Milton Friedman, chiede la creazione di aree a dazio zero tra Europa e Stati Uniti e punge il Dottor Stranamore Peter Navarro, il trade warrior che ha conquistato il cuore, la mente e l’orecchio di Trump mentre il presunto adulto nella stanza, l’ex gestore di hedge fund Scott Bessent scopre i provvedimenti a fatto compiuto ma si presta fedelmente ad andare a spiegare davanti alle telecamere decisioni alla cui formazione non ha partecipato. Sapete, mi accade una cosa stranissima, con Bessent: ho una visione, lo vedo che spiega al mondo che Ruby Rubacuori è la nipote di Mubarak.
Peter Navarro, si diceva: l’uomo che vuole distruggere il mondo a colpi di dazi. Finito in galera per quattro mesi per “oltraggio al Congresso” sui fatti di Capitol Hill (quello che in alcuni ambiti viene considerato reato d’opinione), è tornato e vuole la rivincita, sino all’ultimo dazio. È uno degli autori del famigerato Project 2025 della Heritage Foundation, dopo tutto.
Cercasi endgame disperatamente
Tutti, dai pinguini antartici a Ursula von der Leyen fino agli ultimi peones della maggioranza italiana, si chiedono quale è l’endgame di tutto ciò. Ufficialmente non si comprende. Se obiettivo è quello di portare la manifattura in America, inclusi omini che girano viti sull’iPhone e schiavi da telaio per produrre t-shirt, ma anche farmaci e scarpe ultra-griffate, pare ci sia di mezzo un mismatch temporale mica da ridere. Vi ho raccontato di quanto una transizione può essere dolorosa e finanche mortale, vero?
Detto in parole impoverite come i risparmiatori, ci vorrebbero anni per arrivare al Grande Trasferimento. Durante quel tempo, quindi, i dazi dovrebbero restare, arricchire gli americani, non è chiaro come, demolire i listini e i fondi pensione di una nazione (anzi, di molte nazioni) ma tenete duro, come direbbe Trump. Hang on, che tradurrei anche come “impiccatevi”.
C’è il piccolo problema che gli ordini esecutivi di emergenza usati da Trump verranno sfidati sino alla Corte Suprema. Oltre al fatto che Trump non è esattamente un modello di stabilità. Che è invece la cosa che serve alle imprese, oltre che al genere umano, per tentare di arrabattarsi. All’accumularsi delle macerie, il Congresso potrebbe tornare in sé ed entrare in guerra col capobanda per riprendersi la titolarità della politica commerciale. A quel punto, Trump griderebbe alla lesa maestà e potrebbe mettersi alla guida di bande armate, dando nuovamente l’assalto al Campidoglio. Ma resterebbe da capire se il popolo lo seguirebbe, dopo essersi svenato di inflazione tariffaria e impoverito nei risparmi. Un bel test di fedeltà, dopo tutto.
Ho letto tesi, non dissimili da quella di Ackman, secondo le quali il calo dei rendimenti, indicatore dell’aumentato rischio recessivo, servirebbe al regime (ché di quello si tratta, o se preferite chiamatelo satrapia) per potersi indebitare a condizioni convenienti e subito dopo dichiarare vittoria e battere in ritirata. Certo, se per indurre la Fed a tagliare i tassi bisogna creare una crisi finanziaria sistemica, direi che non siamo messi benissimo, con la testa. Però, ehi, il petrolio crolla e quindi stiamo disinflazionando! Argomentazioni che mi fanno venire in mente un’immagine: un morto non consuma, quindi non concorre a creare inflazione. Mah, forse mi serve una pausa dal genere umano ma senza calarmi nell’Oltretomba.
Ve la dà lui Liz Truss
I prossimi giorni mostreranno a Trump che i mercati non si comandano con ordini esecutivi o con piazzate in mondovisione nella Sala Ovale. Il problema è che Trump è convinto del contrario, quindi potrebbe farsi molto male e farne ai suoi concittadini oltre che al mondo. Molto dipenderà, ovviamente, dalla presenza e dall’intensità di ritorsioni da parte dei paesi messi nel mirino dalla Casa Bianca. Le azioni cinesi di questi giorni, diventate molto aggressive, non fanno presagire nulla di buono in quel rapporto.
Chiudiamo con la domanda iniziale: siamo vicini a un momento “Liz Trump”, coi mercati che scaraventano fuori dalla finestra il potente sociopatico di turno? Calma. Come ha acutamente osservato Jason Furman, Truss ha capitolato al primo attacco serio degli investitori, e si è fatta da parte pregustando una nuova vita di conferenziera negli ambienti liberisti più mentalmente disagiati, sulle due sponde dell’Atlantico. Trump è altro, e guida un paese che rischia di essere sull’economia mondiale la riedizione degli aerei lanciati sulle Torri Gemelle l’11 settembre 2001.
Voi nel frattempo godetevi la natura binaria di questo momento dei mercati: o l’anticamera di una nuova Grande Depressione oppure la Madre di tutti i rimbalzi, che ha fatto capolino proprio oggi, quando si è sparsa la voce che Trump stesse meditando una pausa di 90 giorni per l’entrata in vigore dei dazi “reciproci”. Giocatevi la vostra probabilità soggettiva, quindi.
(Immagine creata con Grok)



