Il ritorno del sovranismo finanziario

Quello che segue è un estratto della newsletter settimanale di SoldiExpert SCF, società di consulenza finanziaria indipendente. La pubblico perché tocca un tema di cui mi sto occupando da tempo e che numerose voci “patriottiche” stanno spingendo forsennatamente, convinte che basti creare dei fondi-centauro per rivitalizzare il segmento azionario delle PMI e illudersi in tal modo di dare liquidità al comparto. Ennesimo proiettile d’argento?
Doverosa disclosure: non ho né mai ho avuto rapporti come cliente, dipendente, fornitore, collaboratore con SoldiExpert SCF (M.S.)


Di Salvatore Gaziano

Inutile girarci intorno, il pendolo sta tornando verso il “sovranismo finanziario” e non solo in Italia. L’oro alla Patria in versione 2.0 è il nuovo mantra che si sente a Washington, a Londra, a Parigi e anche a Roma come a Pechino e Francoforte. Come spiega il nostro amico di penna Riccardo Ruggeriex top manager del gruppo Fiat e oggi editore di Zafferano News, il motivo è semplice: “bambole, non c’è una lira“. 

I governi di tutto il mondo sono alle prese con debiti pubblici crescentie spese difficili da tagliare. L’oro alla Patria diventa un modo per mobilitare la liquidità interna, che altrimenti rischia di finire all’estero, soprattutto verso il mercato statunitense. È per questa ragione che Ruggeri si dice ottimista sulle guerre regionali in corso, che finiranno proprio per mancanza di cassa.

E non vi è da parte mia in queste note nessun intento polemico di tipo politico, poiché so benissimo che il tema del “sovranismo finanziario” sta guadagnando sempre più attenzione a livello internazionale.

Si tratta di un concetto che implica il tentativo dei governi di indirizzare i risparmiatori verso asset considerati “strategici” per il Paese, in un’ottica di protezione della sovranità economica.

In Gran Bretagna, ad esempio, la cancelliera Rachel Reeves sta pensando di obbligare i fondi pensione a investire in aziende britanniche. Una proposta che, come sottolinea David Stevenson, editorialista del Financial Times, è “fondamentalmente sbagliata”. Stevenson fa notare che se gli investimenti azionari nel Regno Unito non performano bene, è perché l’economia non è abbastanza dinamica o attraente. “Risolviamo prima questo problema,” afferma, “e poi l’allocazione degli asset seguirà“.

Costringere gli investitori a investire in un’economia poco brillante porta a risultati disastrosi, come è avvenuto in passato in Europa orientale.

L’errore che molti governi e politici commettono è il riflesso della soluzione rapida, mentre le questioni più importanti (come la bassa crescita della produttività) sono “complesse” e richiedono una strategia ponderata.

L’esperienza italiana: i Pir e i nuovi fondi sovrani

L’Italia ha già un precedente in fatto di “dirigismo sovranista finanziario”: PIR (Piani Individuali di Risparmio). Lanciati per convogliare i risparmi verso le PMI,hanno fallito in gran parte il loro scopo. Nonostante gli sgravi fiscali, i PIR sono stati principalmente uno strumento per banche e intermediari per incassare laute commissioni, senza generare una crescita significativa del mercato delle PMI. Le regole, come spesso abbiamo sottolineato, sembravano scritte più per i banchieri che per i cittadini, costringendo i risparmiatori ad investire in fondi anziché potersi costruire un portafoglio autonomo con ETF o azioni dirette, come accade in molti altri Paesi. Lo Stato ha così rinunciato al gettito fiscale per favorire un’industria, senza riuscire peraltro nell’intento primario.

E oggi, il governo ci riprova con il Fondo nazionale strategico (FNS), promosso da CDP e MEF, che vuole sostenere le PMI quotate e fungere da “anchor investor” per le nuove IPO. 

In breve, funziona così: il governo mette fino a 700 milioni di euro per attirare anche altri investitori privati (come fondi pensione e assicurazioni), arrivando a circa 1,5 miliardi di euro. Il fondo investirà almeno il 70 per cento dei capitali in aziende italiane medio-piccole quotate, con l’obiettivo di dare loro ossigeno e renderle più interessanti per gli investitori. In pratica, è un tentativo dello Stato di spingere e sostenere le aziende italiane più piccole, usando soldi pubblici per stimolare anche gli investimenti privati. 

Un intervento che rischia di cadere negli stessi errori e fare gli interessi di pochi e non della collettività, come osserva acutamente Mario Seminerio, economista e animatore di Phastidio Blog, che mette in guardia da tempo dai rischi di questo “sovranismo finanziario”. 

Come dai cantori a senso unico del rilancio delle Pmi e del private equity “patriottico” anche perché “sarebbe utile se gli accademici che scrivono con grande passione e frequenza editoriali sulle virtù salvifiche di private equity e quotazioni in Borsa facessero anche disclosure su eventuali loro attività di consulenza in quegli ambiti. Li renderebbe ancor più autorevoli.

Un promemoria sul fatto che i consigli finanziari e le misure che vengono prese in questo ambito chi ha le leve soprattutto del potere dovrebbe saper comprendere gli interessi in ballo e i conflitti enormi che possono esistere in materia, sentendo più campane (e non la solita compagnia di giro).

EGM: un mercato in difficoltà con scandali (e delisting) crescenti e anche l’Unione Europea vuole agire contro i “risparmi dormienti”

I dubbi su questo approccio si fanno ancora più forti se si guarda a un mercato che dovrebbe beneficiare del nuovo intervento pubblico e che viene descritto in certe analisi come una sorta di Klondike.

Stiamo parlando dell’Euronext Growth Market (EGM), l’ex AIM, il listino che era stato presentato come quello delle future “pepite” di Piazza Affari.

I numeri degli ultimi dieci anni sono però impietosi. Chi ha investito 100 euro sull’indice Ftse Italia Growthsi ritrova oggi con circa 80 euro. Nello stesso periodo, il Ftse Mib avrebbe portato 100 euro a 237, mentre l’indice mondiale MSCI World a 257. Questo fallimento mette in discussione l’idea di spingere il risparmio “tricolore” verso un mercato che, nella pratica, si è rivelato un buco nero per la maggior parte dei risparmiatori.

I numeri degli ultimi dieci anni sono impietosi per l’EGM, l’Euronext Growth Market. Con circa 200 società quotate, rappresenta (o dovrebbe rappresentare) il “vivaio” di Piazza Affari, un mercato in cui le aziende anche più piccole possono quotarsi con maggiore facilità rispetto a quello principale.

Questo è reso possibile da requisiti meno stringenti in termini di documentazione e regolamentazione. Inoltre, i costi per la quotazione sono più bassi, mediamente almeno mezzo milione di euro, e spesso sono previsti incentivi pubblici (statali e regionali come nel caso della Regione Lombardia) come un credito d’imposta. E non è richiesta, infine, una capitalizzazione minima obbligatoria e basta collocare anche un flottante minimo del 10 per cento del capitale sociale.

A peggiorare il quadro ci sono i numeri del delisting, che nel 2025 sta toccando un record storico con oltre 20 società che hanno o stanno per lasciare il listino nei primi sei mesi dell’anno, spesso a prezzi sensibilmente più bassi rispetto a quello di quotazione.

Non dimentichiamo gli scandali che hanno colpito società come Bio-On (arrivato a valere il 20% di questo mercato), i casi Visibilia e simili con il ruolo del fondo misterioso Negma o più di recentemente di Sipario Movies (ex Iervolino & Lady Bacardi Entertainment), tutte passate dalle stelle alle stalle. Senza dimenticare la prima “stella” del listino AIM (ora EFM) griffata Lapo Elkann con Italia Independent. Troppi casi che evidenziano la fragilità e i rischi di un mercato dove la trasparenza e la vigilanza non sempre si sono rivelate all’altezza.

Naturalmente fra i titoli piccoli e medi di Piazza Affari effettivamente ci sono state e ci sono anche alcune “pepite” mischiate, però, a troppi specchietti per le allodole, ovvero società quotate con valutazioni ultra generosesu business plan dimostratisi diciamo troppo ottimistici.

Non è corretto generalizzare e “gettare il bambino con l’acqua sporca”. L’EGM ospita professionisti validi e società interessanti, come dimostra il successo di realtà quali la vicentina Fope. Sostenere che l’EGM sia il futuro dell’Italia “sovrana” per evitare saccheggi da parte di investitori stranieri, come talvolta si legge, appare però un’analisi di parte e non del tutto disinteressata.

E naturalmente io come consulente finanziario e come società di consulenza indipendente non ho nulla contro l’investimento “tricolore”, visto che da anni forniamo consigli sulle azioni italiane come sui titoli di Stato italiani e non li consideriamo assolutamente un investimento di serie B. Ma raccontare che l’EGM attuale è il futuro… è diciamo un “filino” esagerato, come dire che l’ultimo remake di “Una pallottola spuntata” con Liam Neeson e Pamela Anderson è un capolavoro.

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