Ricordate il periodo “massimalista” dei fondi ESG, quelli con occhio, cuore e anima agli investimenti sostenibili per ambiente, società e governance d’impresa? In Europa, non si muoveva foglia senza aver prima consultato le sacre scritture dei princìpi di quell’investimento che oggi l’era trumpiana e MAGA liquida sbrigativamente come woke. Come si cambia, per non morire, diceva qualcuno.
Una inchiesta di Bloomberg segnala che il numero di fondi comuni azionari con etichetta ESG esposti ad aziende coinvolte nella produzione di armamenti nucleari è cresciuto del 50 per cento, a oltre 2.000, dall’invasione russa dell’Ucraina, nel febbraio 2022. Dai parchi eolici alle armi di distruzione di massa è stato un viaggio piuttosto lisergico. Soprattutto considerando la torsione che il significato del concetto di “sostenibilità” degli investimenti ha avuto nel frattempo, visto che all’origine poteva sintetizzarsi nel classico principio “non nuocere”. Una tassonomia ESG OGM, in pratica.

Di deroga in deroga
Tutto è iniziato con la “deroga” in base al principio che è sostenibile tutto quello che preserva la stabilità sociale ed economica. Con una guerra in corso sul suolo europeo, l’obiettivo è diventato quello di far affluire senza ostacoli capitali all’industria della Difesa, per supportare il riarmo continentale. Questo obiettivo si affianca a quello della sicurezza energetica.
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I dati di Bloomberg mostrano che le aziende che contribuiscono a produrre e distribuire armi nucleari pesano per l’1,2 per cento del valore di mercato totale aggregato nel database utilizzato. Sembra poco ma, considerando che l’Europa pesa per l’80 per cento degli attivi mondiali classificati come ESG, e che deve difendersi dal drenaggio letale di capitali e imprese perseguito da Donald Trump, si comprende il drastico cambio di paradigma, e la mutazione genetica dell’etichetta ESG.
Da inizio anno, l’indice Standard and Poor’s che traccia le aziende della difesa, che include i produttori di armi nucleari, è in rialzo di circa il 40 per cento, il doppio di quello che traccia le azioni della cosiddetta clean energy. L’indice generale S&P 500 della borsa americana è in rialzo da inizio anno di circa il 10 per cento.
Questa situazione genera un corto circuito: le aziende che compaiono nei fondi ESG analizzati da Bloomberg includono BAE Systems Plc, Airbus SE, Babcock International Group Plc, Safran SA, Thales SA e Leonardo SpA. Di queste, BAE, Airbus e Safran sono state inserite in un elenco di esclusione dal fondo sovrano norvegese, il più grande al mondo. La decisione si basa su una valutazione secondo cui l’“uso normale” dell’attrezzatura nucleare prodotta dalle aziende “può violare i principi umanitari fondamentali”, secondo il fondo da 1.900 miliardi di dollari. Ma, riguardo questa policy, il partito Conservatore della Norvegia è tra i gruppi di opposizione che hanno suggerito di procedere a revisione, date le minacce militari che l’Europa deve affrontare.
Il concetto di rischio reputazionale, come sempre ma più che nel recente passato, sta quindi diventando più sfocato, ma a lume di logica le armi nucleari non dovrebbero trovare posto neppure nella nuova e “pragmatica” classificazione, visto il durevole danno umano e ambientale che possono produrre. Per il momento, le aziende coinvolte si trincerano dietro il contributo alla sicurezza, oppure che operano nel rispetto del trattato internazionale di non-proliferazione nucleare del 1968. Trattato che, come possiamo osservare da tempo, non si sente troppo bene e potrebbe essere abbattuto dalla nuova corsa agli armamenti nucleare che pare essere in atto.
Il diavolo nei regolamenti Ue
Riguardo quest’ultimo aspetto, però, e visto che il diavolo si nasconde nei dettagli, Bloomberg ricorda che tutti gli Stati membri Ue sono parti del Trattato sulla Non-Proliferazione delle Armi Nucleari, che vieta le esportazioni verso paesi non inclusi nel trattato al momento della sua firma nel 1968. Tuttavia, il regolamento Ue sugli investimenti ESG non include le armi nucleari nell’elenco delle “armi controverse”, ha dichiarato un portavoce della Commissione Ue. Le banche e i gestori patrimoniali devono tuttavia spiegare come gli investimenti soddisfano i criteri di sostenibilità.
Alcuni gestori stanno agendo in questo direzione, e nei loro pitch parlano di “investimento responsabile” per commercializzare fondi ed Etf di Difesa non esplicitamente classificati ESG. Come si nota, oltre alle armi nucleari proliferano dissonanze cognitive, ipocrisia ed etichette parallele. Il marketing è agnostico, del resto, anche se qualcuno lo definirebbe amorale. Credo che presto verranno venduti prodotti di risparmio con l’etichetta “promuove l’autonomia europea”. Ricordiamo che i gestori possono anche nascondersi dietro prodotti passivi come gli Etf, e risolvere la questione.
La sintesi è che, quando i tempi cambiano, e con essi gli incentivi, gli umani si adattano e modificano le norme che si erano date. Di questo passo, vista la fame di elettricità dei data center nella rivoluzione dell’intelligenza artificiale, non mi stupirei se anche l’industria dei combustibili fossili tornasse in pompa magna dentro gli indici degli investimenti “sostenibili”, “autonomi”, “responsabili”. Più carbone per tutti.
Il pragmatismo cinese ci aveva già pensato, promuovendo una “ESG con caratteristiche cinesi”, retta da due pilastri: la neutralità carbonica, da raggiungere entro il 2060, e la “prosperità condivisa” cara a Xi Jinping, che vuol dire inizialmente riduzione della povertà. Il concetto di sicurezza energetica è alla radice della “eticità” degli investimenti: ecco perché i fondi cinesi non hanno alcun problema a tenere in portafoglio azioni dei produttori di carbone.
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La Ue ci ha provato, a cambiare il mondo a colpi di propri regolamenti. Diciamo che in questi ambiti è letteralmente saltata su una mina, e perdonatemi l’umorismo nero.
(Immagine creata con ChatGPT)



