Germania, investimenti all’italiana

Ieri, il Consiglio degli Esperti economici tedeschi ha pubblicato il rapporto annuale 2025-26, il cui titolo è tutto un programma: “Creare nuove prospettive per domani, non sprecare opportunità“. I cinque economisti che compongono il panel, la cui funzione è quella di fornire consulenza indipendente al governo di Berlino sulla politica economica, segnalano che la crescita tedesca dovrebbe passare dallo 0,2 per cento di quest’anno allo 0,9 per cento il prossimo, inferiore alla stima governativa, pari a 1,3 per cento.

Ma soprattutto, puntano il dito contro l’enorme programma di spesa sottratta al cosiddetto Schuldenbremse (il freno al debito), ripartita in due grandi capitoli: 500 miliardi di euro da spendere in dodici anni in infrastrutture (di cui 100 miliardi per la transizione climatica), e tutta la spesa per la Difesa eccedente l’1 per cento del Pil. Nel senso che, analogamente a quanto già fatto dalla stessa Bundesbank, anche il Consiglio degli Esperti accusa il governo di dirottare a questi due capitoli di spesa, che godono dell’esenzione dal cosiddetto freno al debito, anche programmi non di investimento e riconducibili a spesa corrente non derivante da essi. Ad esempio, pensioni più elevate per le madri non lavoratrici, benefici fiscali per i pendolari e riduzione dell’Iva per il settore dell’hospitality. Secondo le stime del Consiglio, ben metà di questi fondi sarebbe destinata a consumi pubblici.

Altre critiche, sulla stessa falsariga, sono giunte dall’Istituto Economico tedesco (IW), finanziato dalle associazioni imprenditoriali, che quantifica in almeno il 40 per cento il debito aggiuntivo prodotto entro il 2029 come destinato a colmare buchi del bilancio ordinario, il cosiddetto core budget. Per la precisione, dei 271 miliardi di maggiore indebitamento federale previsto entro il 2029, solo 164 miliardi andrebbero effettivamente a investimenti infrastrutturali e per la difesa.

Il governo di Berlino replica che è tutto in regola, che i nuovi vincoli scritti in costituzione stabiliscono che almeno il 10 per cento del bilancio vada a investimenti, e che ciò che eccede tale quota sia considerato “aggiuntivo” e coperto col fondo per gli investimenti, che si indebita per 500 miliardi.

Il vincolo e gli umani

Chi segue le mie elucubrazioni da sufficiente tempo, sa che tra le mie convinzioni ce n’è una che recita una cosa tipo “non esiste vincolo creato dagli umani che gli umani non possano smantellare”. Cioè eludere, magari attraverso interpretazioni fantasiose della lettera della norma. Siamo da sempre stati abituati a credere che i tedeschi, a differenza degli italiani, si facciano bastare la forma della norma, facendola coincidere con la sostanza, in una sorta di approccio “letteralista”. A differenza degli italiani, che passano l’esistenza a cercare di aggirare la sostanza delle regole rispettandone la lettera. Favoriti in ciò, si è sempre detto, dall’ambiguità linguistica del legislatore.

Come si dice da noi, “fatta la legge, trovato l’inganno”. Però credo non solo da noi. Questo perché il denaro è fungibile e l’occasione fa il contabile creativo. Nel caso tedesco, gli Esperti denunciano il fatto che investimenti già previsti nel core budget vengano spostati nel fondo a debito, liberando quindi spazio per spesa corrente nel bilancio “pareggiato”. Il risultato finale è inequivocabilmente la mancanza di additività del nuovo fondo al totale degli investimenti.

Del tema dell’aggiramento di norme in apparenza blindate avevo già parlato quattro anni addietro, durante il governo di Olaf Scholz, retto dalla coalizione “semaforo” tra Spd, Verdi e Liberali. E prima che su queste fantasie si abbattesse la mannaia della Corte di Karlsruhe. Nel frattempo, il problema sottostante (la stagnazione tedesca) si è aggravato dopo l’invasione russa dell’Ucraina, con annessa crisi del modello di politica energetica, della Grande Espulsione dell’automotive tedesca dalla Cina e dall’avvento sulla scena del concetto di globalizzazione a blocchi e tra blocchi, dell’era trumpiana. Poi non dite che non vi avverto per tempo.

Come ricorderete, gli italiani sono quelli che, da tempo immemore e innumerevoli governi, chiedono “all’Europa” di scorporare la qualunque dal deficit, magari anche il deficit medesimo. Ora, pare di capire, anche i tedeschi si stanno acconciando a questi aggiramenti delle norme, dove la disperazione di far ripartire la crescita si scontra con gli interessi di corporazioni e dei partiti che tali interessi scelgono di rappresentare.

Chiariamo due concetti peraltro già richiamati più volte in questi anni. In primo luogo, la spesa per investimenti traina quella corrente relativa a manutenzione e mantenimento dei medesimi, personale incluso. Quindi dire che serve solo spesa per investimenti e dichiarare lotta senza quartiere a quella corrente è una robusta idiozia. In secondo luogo, tuttavia, occorre evitare di credere che tutto quello che viene chiamato “investimento” sia produttivo. Se vi regalo delle sovvenzioni dicendovi che dovete usarle per costruire capannoni (un esempio a caso e del tutto teorico, sia chiaro), alla fine avremo un enorme spreco di capannoni sottoutilizzati e inutilizzati. Anche rispettando la forma e il dizionario alla voce “investimento”.

Tornando al problema semantico tedesco, è agevole concludere (ma non serve avere superiori capacità di intuizione), che la protratta mancanza di crescita aguzza l’ingegno della cattura della spesa pubblica. Se dovessi usare un aforisma mutuato dall’immortale filosofia partenopea, direi che “la crescita scarseggia e il welfare non galleggia”. Nel senso che qualcuno, in restrizione di risorse, dirà che “non si vive di soli investimenti”.

Ergo, è iniziato l’assalto alla diligenza dei fondi a debito. Seguirà la “lotta alla burocrazia”, quella al “sommerso”, verrà spiegato che “si lavora troppo poco” e inizierà l’autoflagellazione nazionale. Dove i tedeschi sono notoriamente all’avanguardia.

Hanno sicuramente ragione, almeno in prima approssimazione, gli Esperti teutonici quando denunciano che far debito per finanziare non investimenti ma spesa corrente (ad essi non pertinente) rischia di produrre moltiplicatori esangui e distruggere risorse fiscali. Ma non scordiamo neppure che non basta mettere soldi in quelli che appaiono inequivocabilmente e semanticamente investimenti per produrre nel lungo termine un innalzamento del potenziale di crescita dell’economia. È il potere evocativo della parola, quello che ci frega.

Tutto ciò detto, confermo la mia preoccupazione per la stagnazione tedesca e i miei dubbi sulla loro capacità di uscirne.

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