Trump, pompiere piromane del carovita

Dall’inflazione di Joe Biden al carovita autoinflitto di Donald Trump. Questa appare la situazione degli Stati Uniti, al momento, e l’esito delle consultazioni elettorali di inizio novembre ne è l’indicatore più evidente. Il presidente non lo dà a vedere ma è preoccupato e sta correndo ai ripari, si fa per dire. Nel senso che propone assurdità assortite, a metà strada tra il moto perpetuo e l’illusionismo da treccartaro di strada.

L’assegno da duemila dollari

Prendiamo la storia dei 2.000 dollari di assegno ai contribuenti che stanno sotto una soglia di reddito ancora indeterminata. Trump dice che il “dividendo dei dazi” sarà una grandiosa redistribuzione, nel senso che offre lui e pagano gli americani, famiglie e imprese importatrici. L’erogazione dovrebbe avvenire “a metà del prossimo anno”, quindi in perfetto orario per il midterm. Il problema è arrivarci: non al midterm ma a metà del prossimo anno, con questa traiettoria e questa economia a forma di K.

Il buon Scott Bessent, che ormai è il badante ufficiale di Trump, ha precisato che è più probabile che il rimborso avvenga come riduzione d’imposta e non come assegno nella cassetta della posta, e che comunque il Congresso dovrà legiferare. Almeno qui, e al netto del fatto che pare che anche i Repubblicani sappiano far di conto. La cosa sfiziosa è che Bessent, che molti dipingono ancora come l’adulto nella sala ovale (pensate i fanciullini, quindi), è pure riuscito a precisare che sarebbe utile se gli americani, anziché spendersi tutto quel ben di dio di soldi, e quindi rischiare di soffiare sul fuoco dell’inflazione, lo risparmiassero, magari alimentando i Trump Accounts, conti di risparmio per i bambini nati tra il 2025 e il 2028, che dovrebbero partire il prossimo anno.

Istituiti dallo One Big Beautiful Bill Act, riceveranno mille dollari in dono dal Tesoro (quindi gentilmente offerti dalle tasse future degli americani, ma non sottilizziamo), mentre i genitori potranno integrarli con somme esentasse fino a 5.000 dollari annui. Anche qui, stessi donatori. Non starò a dirvi che alcune italiche scimmiette hanno subito intonato il “Facciamo come Trump!” d’ordinanza. Quisquilie e pinzillacchere, avrebbe detto il principe De Curtis.

Ma torniamo ai duemila verdoni. Il think tank Yale Budget Lab ha modellizzato l’evento, in base a ipotesi che ovviamente possono variare a gusto del policymaker, e ne sono usciti numeri interessanti.

Un rimborso una tantum di 2.000 dollari a persona con un limite di reddito di 100.000 dollari costerebbe 450 miliardi di dollari. Cioè circa il doppio delle entrate totali che saranno generate dagli aumenti tariffari dell’amministrazione nel 2026, sempre secondo le stime dello Yale Budget Lab. Poiché ogni persona sotto il limite di reddito riceverebbe la stessa somma in dollari, il rimborso sarebbe progressivo, cioè rappresenterebbe una quota maggiore del reddito per le famiglie a basso reddito. Essendo un rimborso capitario, non c’erano molti dubbi al riguardo.

In conseguenza dell’erogazione, la crescita del Pil e l’occupazione aumenterebbero leggermente nel 2026 (0,3 e 0,15 punti percentuali, rispettivamente). Ma questo aumento temporaneo della produzione verrebbe annullato dopo alcuni anni. Gli impatti sulle pressioni di prezzo nell’economia sarebbero contenuti. Il tasso annuo di inflazione aumenterebbe di meno dello 0,1 per cento nei prossimi anni, con un impatto cumulativo sul livello dei prezzi di circa lo 0,2 per cento dopo un decennio.

Il tutto senza aver ancora pensato ai leggendari “ristori” per agricoltori e allevatori. E con tanti saluti all’idea che i dazi risanano il bilancio federale, ovviamente. Ma la crisi del costo della vita sta spingendo Trump e la sua ciurma a fare anche altro: un ordine esecutivo retroattivo allo scorso 13 novembre ha stabilito una serie di esenzioni dai dazi su beni che non possono essere prodotti negli USA in quantità sufficiente per soddisfare la domanda domestica. Ad esempio, carne bovina (ahi), pomodori, banane, caffè, noci, avocado, ananas. Meglio tardi che mai.

Mezzo secolo di mutuo

Ma la crisi di affordability c’è anche e soprattutto per l’abitazione, e per i relativi mutui. Il prezzo mediano di una casa unifamiliare esistente è più che raddoppiato negli ultimi 15 anni, secondo statistiche delle associazioni degli agenti immobiliari. Cose che accadono, quando si portano i tassi a zero e sottozero, al netto dell’inflazione. I tassi sui mutui, anche dopo la recente discesa, restano più che doppi rispetto al livello di quattro anni addietro. Coloro che comprano casa per la prima volta sono solo il 20 per cento del totale, minimo storico assoluto.

E così, Trump ha estratto dal cilindro il coniglio spelacchiato del mutuo cinquantennale, quello che fa risparmiare sulla rata, in attesa di domare quei riottosi della Federal Reserve e costringerli ad abbattere i tassi all’1 per cento.

Un peccato che il mutuo cinquantennale sia poco più che una truffa, dal punto di vista finanziario, se presentato come soluzione conveniente. I motivi sono assai banali da cogliere. In primo luogo, è vero che la rata scende, a livello puramente ottico, ma il prestatore applicherà con ogni probabilità un tasso più elevato rispetto al classico mutuo trentennale, ipotizzando una curva dei rendimenti positivamente inclinata su tutte le scadenze.

Secondo una simulazione di UBS, che ipotizza un tasso nominale più alto di mezzo punto percentuale rispetto al trentennale, su una abitazione del prezzo mediano di 426 mila dollari e con un acconto del 15 per cento, un mutuo di mezzo secolo riduce la rata mensile di 120 dollari. Ottimo, direte. Peccato che gli interessi più che raddoppino per l’intera durata del mutuo. Da 448 mila a 918 mila dollari.

Quindi i mutuatari restano indebitati più a lungo, col rischio che una crisi mandi il valore dell’immobile sotto il valore del prestito. E ricordiamo che, quando ciò accade, negli USA i debitori mettono le chiavi della casa in una busta (jingle mail o strategic default) che inviano al creditore, e tanti saluti. Perché, tecnicamente, il prestito è (sarebbe) no recourse. Ma i contratti possono cambiare, ovviamente. Ma, in questo caso, il cambiamento sarebbe oneroso per il mutuatario.

L’eta media del compratore per la prima volta è oggi di 40 anni. Certo, la scienza medica continua a progredire ma c’è un problema di orizzonte temporale e relativo rischio che le banche gestirebbero aumentando il costo del mutuo.

Ma soprattutto, simili misure non toccano il problema dell’offerta, che resta vincolata da pianificazioni e regolazioni territoriali. Per questo motivo, per le abitazioni non vale l’antica saggezza secondo cui la cura per i prezzi alti sono prezzi alti. Nel senso che stimolano l’offerta e riportano in equilibrio il mercato.

In sintesi: il problema della affordability insiste e persiste, e rischia di punire pesantemente Trump. Quello che era stato trionfalmente eletto anche come reazione alle scempiaggini di Biden & C., secondo cui quello del costo della vita era un problema più percepito che reale.

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