Trump, tra crypto di famiglia e stablecoin d’oro

Le crypto danno (verbo e sostantivo), le crypto tolgono. Se ne sta accorgendo la famiglia Trump, che sul tema sta cercando di evangelizzare l’America e, nel frattempo, ammassare una corposa ricchezza sulle monete digitali, dagli stablecoin ai memecoin, per gli amici shitcoin.

Dopo un selloff che da inizio settembre ha spazzato via oltre mille miliardi di dollari di capitalizzazione nel mondo degli asset digitali, i Trump hanno visto ridursi il proprio patrimonio di un miliardo di dollari, da 7,7 a 6,7 miliardi, secondo le stime del Bloomberg Billionaire Index.

Prima di rammaricarsi per i Trump, e tenendo sullo sfondo la tesi, propugnata soprattutto da Paul Krugman, secondo cui il bitcoin è un cosiddetto Trump trade, cioè prospera e cade assieme alle sorti della presidenza di Orange Mirror, è utile passare in rassegna tutte le crypto attività della famiglia. Lo fa Bloomberg, in modo estremamente dettagliato.

Le Crypto di famiglia

Partendo da Trump Media & Technology Group Corp., la controllante del social trumpiano Truth, che mercoledì scorso ha toccato il minimo storico. Il valore della quota del presidente, primo azionista attraverso un trust amministrato dal primogenito Donald Jr., è sceso da settembre di circa 800 milioni di dollari. Quello che è interessante, è che TMT (che è in rosso) si è praticamente trasformata in una prevalente Digital Asset Treasury Company, come la famosa e pericolante Strategy di Michael Saylor.

Secondo le comunicazioni sociali, allo scorso luglio TMT possedeva 11.500 bitcoin, a un prezzo di carico di circa 115.000 dollari. Pertanto, ai prezzi odierni, la sua minusvalenza teorica è intorno al 25 per cento. Ma TMT non tratta solo bitcoin: ha anche iniziato a accumulare un token poco conosciuto chiamato CRO, emesso dalla borsa crypto, con sede a Singapore, Crypto.com. Lo stock di token CRO di Trump Media valeva a fine settembre circa 147 milioni di dollari. Da allora, il valore del CRO è si è dimezzato. Trump Media sta pianificando con Crypto.com un prediction market, la nuova forma della ludopatia finanziaria che avvolge il mondo, che permetterà agli utenti di scommettere su sport e politica, chiamato Truth Predict.

Poi c’è World Liberty Financial, che ha un token di famiglia, WLFI, il cui prezzo è sceso da 26 centesimi all’inizio di settembre a circa 15 centesimi. Il valore dello stock di WLFI della famiglia Trump è passato quindi da quasi 6 miliardi di dollari a 3,15 miliardi. In agosto, l’azienda ha venduto parte dei suoi token a una piccola società, Alt5 Sigma Corp, incassando 750 milioni di dollari cash e una partecipazione azionaria. Agli investitori di Alt5 non è sinora andata benissimo: dall’annuncio, le quotazioni sono scese del 75 per cento e la partecipazione della famiglia Trump in Alt5, tramite World Liberty, è diminuita di circa 220 milioni di dollari.

Ma i Trump hanno comunque fatto soldi. La famiglia ottiene circa il 75 per cento (!) dei proventi dalla vendita dei token di World Liberty, pari a circa 500 milioni di dollari solo dall’affare con Alt5, secondo i calcoli di Bloomberg. I Trump hanno realizzato altri 400 milioni di dollari dalle vendite di token WLFI prima dell’affare con Alt5.

In caso vi fosse sfuggito, ve lo spiego meglio: queste crypto sono emesse su base rigorosamente fiat, esattamente come le odiate valute tradizionali, e i Trump incassano una sorta di premio di signoraggio. Ma, del resto, uno sciocco e suoi soldi si separano presto, e mai come nel mondo crypto questa massima è vera. Onore al merito dei Trump, quindi, che creano denaro ex nihilo. Lo so, evitate di alzare il ditino e dirmi che queste considerazioni non valgono per il bitcoin, che ha “tiratura limitata”. Restiamo seri. Per me, il bitcoin resta un pregevole strumento speculativo nell’era della ludopatia finanziaria di massa.

Poi c’è American Bitcoin, dove i due figli maggiori di Trump hanno una quota, nata da una partnership con la società Hut 8 Corp. che ha fornito le proprie attrezzature “estrattive” in cambio della quota di maggioranza. Chi avesse comprato azioni ABTC al momento della quotazione, oggi si troverebbe con una perdita teorica del 45 per cento.

Da ultimo, il memecoin di famiglia, il prodotto fiat per eccellenza e già crollato da quando è stato annunciato nel fine settimana dell’inaugurazione presidenziale. Dalla fine di agosto, ha perso circa un altro quarto del suo valore. La dimensione della partecipazione della famiglia nel coin non è chiarissima ma lo stock viene accresciuto progressivamente, alla ricerca di nuovi gonzi speculatori, creando ricchezza dal nulla.

Lo stablecoin d’oro

Dopo questa carrellata, che ci mostra che la Gilded Age dei nuovi Robber Baron è rigorosamente digitale, corre l’obbligo di segnalare un pregevole commento-analisi su FT Alphaville su Tether, il primo stablecoin mondiale in dollari per capitalizzazione, che di recente ha diversificato anche in Italia le sue attività, con una quota in una blasonata società calcistica e in un editore di podcast (dai, che i nomi li sapete).

Tether sta comprando oro per puntare a un altro suo grande progetto: la tokenizzazione del metallo prezioso. E i suoi stock aurei sono ormai tali da superare quelli di alcune banche centrali minori. Un po’ vezzosamente, i fondatori di Tether (ferventi sostenitori della tesi del debasement secolare delle valute fiat) chiamano l’oro “il bitcoin naturale”.

In base ai dati della blockchain, da inizio agosto Tether sembra aver aggiunto più di 275.000 once d’oro del valore di circa 1,1 miliardi di dollari alle riserve di XAUt. Tralasciando tematiche tecniche ma rilevanti, come l’andamento “a scatti” degli acquisti di oro, che non aderisce perfettamente alla creazione di nuovi token e crea quindi problemi di copertura, il fenomeno resta molto rilevante.

A fine settembre, secondo la loro auto-attestazione, Tether possedeva 116 tonnellate di oro, il maggior possessore del metallo giallo fuori dalle banche centrali. Gli acquisti d’oro di Tether nell’ultimo trimestre hanno rappresentato quasi il 2 per cento della domanda totale di oro e sono stati equivalenti a quasi il 12 per cento degli acquisti delle banche centrali, secondo le stime della banca d’affari Jefferies. Questa è domanda incrementale che non esisteva in precedenza e che potrebbe aver tirato la volata agli acquisti speculativi.

Ma a che serve l’oro, per Tether? Ovvio: ad alimentare il relativo stablecoin, XAUt, ognuno dei quali rappresenta un’oncia troy di oro. E poi? Poi, a tokenizzare le compravendite del metallo prezioso, consentendo quindi di scambiarlo rapidamente, in tutto il pianeta, 24/7. Negli Stati Uniti il Genius ACT, che regolamenta l’emissione di stablecoin, vieta l’uso di oro come asset di riserva. Ma il mondo non è fatto solo dagli Stati Uniti, notoriamente.

E qui mi sovviene quanto ho scritto tempo addietro: se il mondo, alle prese con i capricci di Trump e le guerre tra blocchi geoeconomici, si rifugia nell’oro, viene meno la narrazione dello stablecoin come cavallo di Troia della rinnovata dominanza del dollaro sulla scena valutaria mondiale. Non solo: anche qui, come ho scritto, si darebbe una grossa mano ai sogni bagnati dei BRICS, alla ricerca di una loro valuta comune. Un token aureo sarebbe teoricamente perfetto.

Resta una domanda, non banale: se lo stablecoin su valute fiat fa i soldi investendo in Treasury, di cui trattiene gli interessi, come si fanno i soldi su uno stablecoin aureo, che ha un sottostante infruttifero? Forse Tether punta al vantaggio della prima mossa e a fornire la tecnologia e il sottostante ma non penso ci sarebbero enormi barriere all’entrata, se le banche centrali iniziassero a mettere il loro oro su blockchain. Vedremo.

Quindi occhio, Dear Mr. President: la Gilded Age digitale potrebbe non essere ciò che appariva e quello per cui è stata venduta. E chi di stablecoin ferisce, di stablecoin perisce. Per chiudere il discorso, vale la pena citare la chiusa del commento di Alphaville:

Ora tutto ciò che serve è convincere gli investitori avversi al rischio che le loro paure sono meglio espresse acquistando token blockchain da un’azienda di criptovalute privata, autorizzata in El Salvador, che afferma di avere oltre 100 tonnellate di barre d’oro, non sottoposte a revisione, in un magazzino non identificato da qualche parte in Svizzera.

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