Il rischio colombiano delle pensioni “sovrane”

Come sapete se mi leggete e comprendete quello che scrivo, in Italia è in corso un vivace dibattito circa l’entità degli investimenti esteri dei nostri investitori istituzionali, fondi pensione e casse previdenziali professionali su tutti. Questi investitori sono accusati di “sottopesare” il nostro paese nei loro portafogli e quindi di danneggiare l’economia nazionale, soprattutto le piccole e medie imprese. Alcune delle quali vengono scoperte e “coltivate” da intermediari esteri e alla fine “rapite” e portate oltre confine.

Gli ultimi dati dell’associazione delle casse previdenziali professionali mostrano, almeno a livello aggregato e di società quotate, che è vero l’opposto. Peraltro, alcune di queste casse segnalano di avere in essere investimenti alternativi illiquidi in aziende nazionali. Dopo questa premessa, e dopo aver richiamato la vostra attenzione sul rischio che questa elevata quota di investimento nazionale possa in qualche modo essere cristallizzata ope legis in caso di crisi, vorrei mostrarvi cosa accade in situazioni estreme: quando un Paese alla deriva affronta un dissesto che non è solo economico, ma di governance politica.

Il grande rimpatrio

Parlo della Colombia, retta dall’ex guerrigliero Gustavo Petro, capo di stato e di governo. Il quale da sempre è molto critico nei confronti dei fondi pensione del paese, “accusati” di investire all’estero circa metà dei 140 miliardi di dollari di patrimonio complessivo. Mesi addietro, all’autorità di regolazione finanziaria nazionale -che è parte del Ministero delle Finanze- è stato “chiesto” di imporre ai fondi pensione di rimpatriare l’equivalente di circa 33 miliardi di dollari, per investirli nell’economia nazionale e nelle sue “attività produttive”. La retorica mi ricorda qualcosa.

Inizialmente la proposta, lanciata per iniziativa del watchdog finanziario nazionale, Superintendencia Financiera, prevedeva un periodo di cinque anni per il rimpatrio, ma il ministro delle Finanze ha iniziato a premere per ridurlo a un semestre. Cosa che avrebbe conseguenze pesanti per i fondi e i loro iscritti. All’ufficio del regolatore finanziario, che ha segnalato l’assurdità di una simile misura, è stato chiesto di adeguarsi o togliere l’incomodo. E infatti la responsabile si è dimessa giorni fa, mentre a una trentina di altri funzionari è stato chiesto di seguirla.

L’Unità di Regolamentazione Finanziaria ha infatti avvertito che rimpatri di questa dimensione potrebbero generare rischi di mercato, di liquidità e di controparte. Potrebbero anche causare violazioni contrattuali con fondi di private equity e influire negativamente sui rendimenti degli investimenti per i futuri pensionati. Alcuni investitori hanno segnalato che rimpatriare decine di miliardi di dollari in un breve periodo potrebbe causare distorsioni ai mercati finanziari della Colombia creando domanda artificiale per i TES, bond del governo locale denominati in pesos, e per la valuta. Ecco, appunto.

I fondi pensione privati sono i principali attori in questo mercato da 186 miliardi di dollari, possedendo quasi il 30 per cento dei TES in circolazione. Asofondos, l’associazione che li rappresenta, sostiene che alla fine i lavoratori sopporterebbero i costi perdendo i benefici della diversificazione nei loro investimenti.

Debito pubblico espatriato

La cosa più interessante è che, mentre il governo di Gustavo Petro tenta di rimpatriare a forza il risparmio previdenziale colombiano investiti all’estero, nei giorni scorsi ha piazzato, tramite di un private placement, l’equivalente di 6 miliardi di dollari di TES in valuta locale a un investitore estero, la cui identità non è stata rivelata. Le emissioni, di scadenza compresa tra il 2029 e il 2040, sono state collocate con una concession (cioè una maggiorazione di rendimento) di circa 40 centesimi rispetto alle quotazioni sul mercato secondario.

In tal modo, circa il 20-25 per cento delle emissioni di debito pubblico previste per il 2026 sono già state messe in carniere, malgrado il forte deficit, pari al 7,1 per cento del Pil, che ha portato il governo a proclamare lo stato di emergenza economica, dopo che il parlamento ha bocciato le proposte di aumento delle tasse “a carico dei ricchi” previste da Petro. Ora, se la corte costituzionale lo consentirà, il governo potrà procedere per decreto a quegli aumenti d’imposta. Vi faccio notare che la Colombia avrebbe (aveva) una legge sul pareggio di bilancio. Non esiste camicia di forza, cucita da umani, che gli umani medesimi non possano scucire.

Perché vi ho raccontato questa cautionary tale, come direbbero gli anglosassoni? Perché, come si nota, il risparmio è sempre a un passo del finire sotto tiro, quando i conti pubblici sfuggono di mano. E anche perché la repressione finanziaria può assumere molteplici forme, inclusa quella del vincolo di portafoglio. Si comincia con gli appelli patriottici a investire localmente e non si sa dove si possa finire. Anche per questi episodi, destinati a moltiplicarsi col crescere del debito pubblico in giro per il mondo e l’incapacità dei governi a ridurre il deficit, è facile giungere alla conclusione che beni rifugio come l’oro troveranno spazio crescente nei portafogli d’investimento. E quanto più la crisi globale si aggraverà, tanto più forte diverrà la spinta a possedere oro fisico anziché “finanziarizzato”, ad esempio tramite Etf o fondi azionari sulle società di estrazione.

Non divaghiamo. Ricordate, però: il patriottismo finanziario è l’ultimo rifugio delle canaglie da debito.

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