Silvio Berlusconi ama definirsi liberale e liberista. Da questa collocazione ideologica sembra talvolta far discendere il corollario secondo il quale nessuna attività governativa dovrebbe interferire nelle scelte degli agenti economici. Posizione genericamente condivisibile, se non fosse che Berlusconi sembra ignorare che liberalismo e liberismo devono incidere a monte delle decisioni economiche, e non a valle. In altri termini, è corretto sostenere che un governo non deve controllare i prezzi, ma è piuttosto bizzarro affidarsi al buon senso e all’oculatezza di casalinghe e casalinghi per far trionfare il mercato soprattutto quando, come spesso accade in Italia, un mercato non è mai esistito. Perché compito primario del legislatore (e quindi anche e soprattutto della maggioranza che esprime l’esecutivo) è creare le condizioni “istituzionali” per far vincere la concorrenza e quindi i cittadini-consumatori. Parlando di costo della vita ed euro, Berlusconi afferma:
“Il governo non può controllare i prezzi. Li controllano i cittadini quando dicono di no ai prezzi eccessivi: è questo che li invito a fare”.
“Guardiamo al futuro, guardiamo avanti. Certo, io so che l’ euro ha fatto e fa delle incursioni negative sui bilanci di tutte le famiglie. L’Italia ne ha subito la negatività molto più di altri Paesi europei, perchè alla nostra moneta è stata data una quotazione che non rispondeva alla realtà dei fatti al momento del changeover; per questo – ribadisce – ci sono delle responsabilità che non si possono attribuire a questo governo che peraltro ha continuato a dire che l’euro è stato ed è una cosa positiva che ci consente di essere presenti sui mercati europei con forza. Il problema è la valutazione eccessiva rispetto al dollaro che danneggia le nostre imprese. I governi – conclude – hanno difficoltà ogni giorno ad intervenire non potendo più svalutare la propria moneta come si faceva una volta”.
Alcune frasi sono condivisibili, altre assai meno. Noi riteniamo che il governo sia stato del tutto assente già nella fase di avvio dell’euro, quando sarebbe stata efficace una misura minimale e certo non dirigista o statalista come l’obbligo di esporre sui cartellini il doppio prezzo, in euro e lire. Potremmo essere d’accordo (in astratto) circa l’entrata della lira nell’euro con una parità di cambio artificiosamente elevata. Lo siamo certamente riguardo l’improponibilità e l’anacronismo dei controlli sui prezzi. Non lo siamo affatto sul rimedio “volontaristico” suggerito: dire no ai prezzi eccessivi da parte dei cittadini. Ma come farlo, quando l’intera filiera della distribuzione presenta strozzature che impediscono ai prezzi di scendere, alimentando sovraprofitti per intere categorie che appaiono incompatibili con il mantenimento di condizioni minimali di competitività , oltre a minare il potere d’acquisto delle famiglie? E’ l’attività di governo che deve creare le condizioni per l’affermazione di una cultura del mercato, spezzando le pratiche collusive ed oligopolistiche. E’ difficile, ad esempio, pensare di far scendere in misura significativa la spesa farmaceutica per i prodotti di fascia C (il cui costo è a carico dei cittadini) riservandone la distribuzione esclusiva alle farmacie, laddove in altri paesi europei tali farmaci sono venduti anche nei centri commerciali. Il fallimento dei farmaci generici, che da noi è stato eclatante, assai difficilmente può essere addebitato al destino cinico e baro o alla pulsione degli italiani per la griffe, anche in ambito farmaceutico. Potremmo anche citare la liberalizzazione largamente insufficiente dei mercati dell’energia elettrica e del gas, che ci stanno regalando le tariffe di distribuzione più elevate d’europa. E ancora: come pensare di ridurre il prezzo della benzina senza eliminare tutti i distributori marginali, modernizzare la rete e consentire la vendita di carburanti anche alla grande distribuzione organizzata? E come affrontare il tema della riforma degli ordini professionali, per la quale si attende prima o poi un pronunciamento dell’antitrust europeo? Le resistenze delle categorie interessate sono ovviamente molto forti, ma insistere nel rigettare pervicacemente l’introduzione di meccanismi di mercato nella formazione dei prezzi, finendo con lo scaricare l’onere della mancata concorrenza unicamente sulle categorie di cittadini percettori di un reddito fisso, nel nome di un malinteso laissez-faire, è una manifestazione di insipienza, ignoranza (o malafede) economica e miopia politica, non foss’altro per il numero dei cittadini-elettori coinvolti. Perché, propaganda unionista a parte, l’effetto di un decreto-competitività che riduce “inavvertitamente” le pene per il reato di bancarotta fraudolenta (ma forse anche quella è competitività …) mentre nulla dispone per colpire (con il mercato) le rendite parassitarie del commercio, è quello di far ulteriormente incazzare ampi strati di elettorato.