Alibi

Il nostro premier non perde occasione per attribuire ad eventi ed entità esterne l’inazione ed i fallimenti del proprio governo in politica economica. Oggi, nuova puntata della saga:

“Credo che soltanto l’Unione europea, centralmente, potrà dare il via alla realizzazione ed alla costruzione di nuove centrali nucleari, perché i singoli governi non hanno la forza per convincere i cittadini visto che il nucleare è un termine che li spaventa ancora, nonostante sia una necessità per il futuro”.

Si tratta di un’idea costruita sulla falsariga dello slogan “Una Maastricht per le pensioni”, pensato anni addietro da Berlusconi per legittimare e giustificare una profonda riforma previdenziale. Simili argomentazioni rappresentano una caratteristica distintiva della classe politica italiana, un tratto autenticamente bipartisan. Siamo incapaci di proporre riforme strutturali, destinate ad incidere durevolmente sulla struttura socioeconomica del paese e, proprio per questo motivo, scomode per gli special interests? Andiamo a cercare un deus ex machina e/o un catalizzatore esterno che permetta di esaltare la nostra cultura dell’emergenza.

Ricordate come siamo entrati nell’Euro? Autunno 1996: Romano Prodi compie una visita pastorale a Madrid, da José Maria Aznar, per convincerlo della “necessità” di una costruzione europea a due velocità, con la convergenza dei paesi latini differita per evitare traumi ai singoli sistemi-paese. Aznar lo manda cortesemente al diavolo, comunicandogli che la Spagna sarebbe entrata nella moneta unica da subito. Prodi torna in Italia, e che s’inventa, di concerto con l’allora ministro del Tesoro, Ciampi? La convergenza forzosa. Devastante stretta fiscale, blocco del tiraggio di tesoreria per enti locali ed amministrazioni pubbliche. Una mossa necessaria, ma certo dettata da un’acuta emergenza, perché costi e rischi del ritardato ingresso nella moneta unica sarebbero stati elevatissimi. Non a caso, la perdita di competitività italiana sui mercati internazionali data proprio da quel periodo: nessuna significativa liberalizzazione dei mercati, segnatamente quelli di libere professioni, distribuzione ed utilities, e ondata di privatizzazioni, finalizzate soprattutto a far cassa, che alla fine hanno prodotto la sostituzione di monopoli pubblici con monopoli privati e, soprattutto, hanno stimolato gli animal spirits pantofolai dei nostri capitani di ventura. La commistione tra potere politico e lobbies ha fatto il resto. Ancora oggi, ad esempio, Telecom Italia detiene circa l’80 per cento del mercato della telefonia fissa residenziale. Poiché il diavolo si nasconde nei particolari, occorrerebbe anche chiedersi perché l’Italia è tra i pochissimi paesi europei in cui, nella telefonia mobile, è a tutt’oggi vietata la figura del reseller, che altrove ha contribuito ad abbattere le tariffe. Ma tant’è, in questo paese riusciamo ad entusiasmarci anche per finte liberalizzazioni. Oggi, Berlusconi rinverdisce la tradizione dell’intervento salvifico esterno, dimenticando che una politica energetica europea semplicemente non esiste. Non pago di ciò, il nostro premier liberista, parlando davanti al primo Congresso dei Notai europei (che pulpito!), torna a ribadire che il carovita è stato causato dall’introduzione dell’euro, che

“Ha anche provocato in tutta Europa un innalzamento dei prezzi”.
Secondo Berlusconi “nel cambio la categoria dei commercianti non ha usato un computer (sic, ndr) e ciò ha fatto aumentare i prezzi”. Si tratta, ha proseguito il premier, “di un fenomeno generalizzato di cui tutti i paesi soffrono e che in parte spiega anche il voto contrario alla Costituzione Ue da parte di francesi ed olandesi”.

Il presidente del Consiglio ha infine ribadito che a causa dell'”ipervalutazione” della moneta unica, le imprese europee hanno perso “il 50% della loro competività” sia nei confronti dei prodotti venduti in dollari che in altre divise.

Non sappiamo quali siano le fonti di Berlusconi ma appare evidente che, quando l’analisi cede il posto alla propaganda, i risultati non sono molto dissimili da queste esternazioni. Esiste una differenza sostanziale tra inflazione effettiva, calcolata su un paniere di beni e servizi, ed inflazione percepita. In tutta Europa la seconda è inequivocabilmente aumentata, deprimendo la fiducia dei consumatori, ma in Italia si è registrato anche un aumento della prima, a causa dell’insufficiente liberalizzazione di molti settori, soprattutto nei servizi. Della necessità di intervenire sugli ordini professionali si è detto fino alla nausea, ma sembra difficile aspirare a risultati eclatanti, quando la metà circa dei parlamentari di maggioranza appartiene ad una di queste corporazioni. La competitività si ottiene aprendo i mercati, non certo recriminando contro fattori esterni di vincolo, più apparenti che reali, o invocando quegli stessi fattori come determinante e giustificazione per l’azione riformista. Valga per tutti l’esempio tedesco dove le aziende orientate all’export, nella sostanziale latitanza della politica, hanno avviato massicci programmi di ristrutturazione e delocalizzazione, che hanno consentito un forte recupero di competitività internazionale, pur se a prezzo di una marcata debolezza della domanda interna di consumi.

Assolutamente rimarchevole, poi, la ricetta di Berlusconi per fronteggiare l’ingresso di prodotti cinesi in Europa: stabilire una “parità” (???) tra importazioni ed esportazioni del continente asiatico. “Tanto importiamo, tanto esportiamo”. Inutile scomodare la “Legge del Prezzo Unico” e la teoria del commercio internazionale. Con simili liberisti, chi ha bisogno di comunisti?

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