Lobby d’Italia

Questo nostro Paese assomiglia a un bellissimo Meccano. Purtroppo è montato male. Ci sono qua e là negli ingranaggi dei sassi che ne bloccano i movimenti… Non c’è altro da fare che smontarlo e rimontarlo pezzo per pezzo. (Francesco Giavazzi)

Quando venne presentato il progetto dell’Istituto italiano di tecnologia ai ricercatori di Harvard e del MIT, si presentarono ad ascoltare in un centinaio: chimici, biologi, astronomi, medici, ingegneri. Tutti italiani. Se entriamo nella sala cambi di una banca d’affari londinese ci accorgiamo che un dipendente su tre è italiano. Gli italiani suscitano ammirazione; l’Italia molto meno. Francesco Giavazzi raccoglie gli articoli di una lunga battaglia a favore del merito, della concorrenza e del mercato. Spiega che il declino è solo colpa nostra. Un’Italia dove c’è molto credito ma poco capitale, più rendite che profitti, troppa ricchezza rispetto al reddito; dove contano più le relazioni dei risultati, le paure dei progetti. Un Paese in grigio, prigioniero di se stesso. Che non sa cosa si perde. Avesse solo un po’ più di coraggio… (Ferruccio de Bortoli)

Alcuni interessanti passaggi tratti dal libro:


Meno incentivi meno tasse
– Delle molte inefficienze prodotte in Italia da un bilancio pubblico che assorbe metà del reddito nazionale, una delle più straordinarie sono gli aiuti alle imprese, denari che lo Stato eroga sotto varia forma, dai contributi agli interessi sui prestiti bancari a quelli per la ricerca. Se calcolati “per cassa” ed al netto delle partite finanziarie essi ammontavano, nel 2003, a 36 miliardi di euro (31 se contabilizzati per competenza, 39 se si incudono anche le partite finanziarie), cifre che rappresentano quasi il 3 per cento del reddito nazionale. Di questi, due terzi sono andati a imprese private, un terzo ad imprese pubbliche: Ferrovie, Poste, Anas, municipalizzate varie. Quindi, anche escludendo le pubbliche, le risorse che i privati hanno ricevuto a vario titolo dallo Stato ammontano a circa 25 miliardi di euro, 2 per cento del Pil, metà direttamente dallo Stato, il resto per lo più dalle regioni. Questi aiuti sono fonte di inefficienze perché danno agli imprenditori incentivi perversi; li distolgono dalla cura della loro azienda per dedicare tempo al lobbying. Non vengono distribuiti pro-quota a tutte le imprese, ma sono concetrati in quelle aziende e in quei settori che dedicano più risorse all’attività di lobbying. La prima riforma fiscale a costo zero consiste quindi nel cancellare questi aiuti, restituendoli alle aziende sotto forma di una riduzione dell’aliquota sui profitti. Questo avrebbe due benefici: la riduzione delle aliquote andrebbe a vantaggio di tutte le aziende, non solo dei lobbisti; e costoro, anziché perdere tempo nei corridoi di Regioni e Ministeri, si dedicherebbero a far funzionare meglio le loro aziende. Non conosco imprenditori che abbiano messo in soffitta una buona idea solo perché non sono riusciti ad accedere al credito agevolato; ne conosco alcuni che invece hanno ristrutturato la casa in campagna con i soldi regalati dalle Regioni all’agriturismo.
Cancellare gli aiuti vuol dire eliminarli: non, come qualche ministro ha proposto, sostituirli con mutui agevolati della Cassa Depositi e Prestiti; i mutui agevolati sono ancora aiuti, allora tanto vale mantenere il sistema attuale. La riduzione dell’Irpeg potrebbe anche eccedere i risparmi previsti dall’eliminazione degli aiuti, anticipando un effetto positivo sugli investimenti e in generale sull’attività delle imprese.
Eliminati gli aiuti si dovrebbe ripensare anche il meccanismo degli ammortamenti anticipati, un’altra agevolazione fiscale che distorce le decisioni delle aziende perché favorisce quegli investimenti che possono meglio sfruttare questa agevolazione, indipendentemente dalla loro produttività o capacità innovativa. (19.5.2004)

Un premio all’Italia dei sussidi – Se si sceglie di aumentare la spesa pubblica è inevitabile che anche la pressione fiscale cresca, con buona pace della retorica del taglio delle tasse. Ma non è questo il problema. Ciò che lascia allibiti è la qualità delle nuove spese che sono state approvate. Lo Stato rimborserà alla Regione Calabria gli stipendi delle 11.500 guardie forestali che essa ha assunto (in Lombardia, sono 450): costo, 150 milioni. E’ legittimo, e anche equo, redistribuire il reddito verso la regione più povera, ma il modo in cui lo si fa è il peggiore possibile. Si privilegiano i raccomandati che sono riusciti a farsi assumere dalla Regione e si toglie loro un incentivo a cercare un lavoro vero. Se si voleva davvero aiutare i calabresi, perché non prevedere minori tasse per tutte le famiglie di quella regione o, meglio ancora, dare alle imprese calabresi un contributo per ogni nuovo lavoratore che assumono? I lavoratori agricoli stagionali che lavorano meno di 2 mesi l’anno mantengono il diritto a ricevere un sussidio di disoccupazione nei mesi restanti: costo 70 milioni. Anche questi lavoratori avranno scarsi incentivi a trovare un secondo lavoro: non era meglio, se proprio li si voleva aiutare, sussidiare le aziende disposte ad assumerli il resto dell’anno?
Napoli e Palermo ricevono 150 milioni per continuare a retribuire i «lavoratori socialmente utili», una formula oscura per dire sussidi di disoccupazione. In tutta Europa i governi stanno studiando come riformare i sussidi per ridurre il numero di coloro che rimangono disoccupati a lungo e accrescere gli incentivi a trovare un lavoro: queste misure si muovono nella direzione opposta. Stabilizzano le persone nella situazione di disoccupazione e le rendono sempre meno occupabili: quale azienda assumerebbe un lavoratore socialmente utile, che è tale da 5 anni? (17.12.2004)

Prezzi e rendite – C’è un’anomalia italiana nei dati sull’inflazione nei Paesi dell’euro. L’inflazione media europea, che è vicina al 2%, nasconde due realtà molto diverse: da un lato i Paesi con un reddito pro capite ancora sotto la media (Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda), dove l’inflazione è relativamente alta, fra il 3 e il 4%; dall’altro i Paesi più ricchi (in primis, Germania e Francia) dove l’inflazione è tra l’1 e l’1,5%. L’inflazione relativamente elevata del primo gruppo di Paesi non è sorprendente: i Paesi relativamente più poveri partono con prezzi e salari più bassi, e parte del processo di crescita comporta l’adeguamento dei prezzi a quelli dei Paesi ricchi, il che significa più inflazione finché il loro livello di reddito ha raggiunto quello dei Paesi più ricchi. La stabilità dei prezzi nell’area dell’euro va valutata guardando ai Paesi che già sono ricchi, come Francia e Germania: qui la preoccupazione è se mai l’opposto, che la bassa inflazione sia il sintomo di un’economia ancora in stagnazione.
L’Italia è ricca più o meno come Germania e Francia, cresce, o meglio non cresce, come quei due Paesi, ma ha un’inflazione da paese relativamente povero. Da che cosa dipende questa anomalia? La risposta sta nei dati sul diverso andamento dei prezzi nel settore dei servizi e in quello dei beni manufatti. Dal gennaio 2001 l’inflazione nei servizi non è mai scesa sotto il 3%, mentre nel settore dei beni manufatti il tasso di inflazione si è quasi sempre mantenuto sotto il 2%. Il dato odierno sull’aumento dei prezzi dei servizi di telefonia fissa conferma questo andamento.
L’immagine che ne emerge è quella di un Paese con due volti: un settore manifatturiero ormai perfettamente integrato nell’economia europea, dove le aziende non possono usare i listini prezzi per far fronte a un divario di produttività: se non ce la fanno a tenere la concorrenza perdono quote di mercato, come dimostrano le vicende della Fiat che ora sta tentando di recuperare terreno. Dall’altro un settore di servizi protetti dalla concorrenza esterna, dove i prezzi sono la variabile sulla quale si scaricano le inefficienze – oppure, per dirla più chiaramente, l’aumento dei prezzi – è il meccanismo attraverso il quale questo settore fa pagare ai consumatori le proprie ricche posizioni di rendita. (24.9.2003)

…Ma Maggie tagliò la spesa – La riforma fiscale di Berlusconi, per quanto modesta, non è finanziata da tagli permanenti di spesa. Nel 2005 gli effetti sul deficit saranno attenuati da qualche provvedimento contabile, come il trasferimento al prossimo anno del gettito del condono edilizio: le conseguenze si manifesteranno negli anni successivi, dopo le elezioni politiche del 2006. Tra il 1979 e il 1989 Margaret Thatcher rivoluzionò l’economia inglese: ciò che pochi ricordano è che la sua azione fu soprattutto sulla spesa, le liberalizzazioni e le privatizzazioni, non sulle tasse. Nel 1979, quando ella venne eletta, la pressione fiscale era il 34 per cento del pil, dieci anni dopo era salita al 36,4, un aumento solo in parte attribuibile alla crescita dell’ economia. La spesa invece era scesa dal 44,8 al 39,2 per cento. Da allora la Gran Bretagna cresce stabilmente più del resto dell’Europa. Forse, anziché trascorrere le settimane a dibattere di una riforma fiscale inesistente, sarebbe più produttivo rileggere l’esperienza di Mrs. T. (7.11.2004)

Recensione: Il capitalismo con adrenalina

Francesco Giavazzi
Lobby d’Italia
BUR, I ed., 2005

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