La vicenda Enel-Suez, o meglio Italia-Francia, sta scatenando una ridda di dichiarazioni, proclami e idiozie assortite, tutte rigorosamente bipartisan, che rientrano a pieno titolo nell’impotente logorrea nazional-popolare. Per riassumere: a nostro giudizio, il governo francese ha agito da broker, esercitando una “moral suasion” (eufemisticamente parlando) per indurre una società privata quale è Suez, a fondersi con una pubblica, quale è Gaz de France, attualmente controllata all’80 per cento dallo Stato francese. E’ poi innegabile che, se Enel avesse proceduto a depositare il prospetto dell’Opa su Electrabel (controllata belga di Suez e casus belli dell’intera vicenda) anziché annunciare alla stampa le proprie intenzioni, il numero di gradi di libertà di Palais Matignon sarebbe stato fortemente ridotto. Nei fatti, appare altrettanto ineccepibile la presa di posizione del Commissario Ue alla Concorrenza, Charlie McCreevy che ieri, per bocca del proprio portavoce, ha dapprima detto che non ravvisa violazione alla normativa europea sulla libera circolazione dei capitali, e successivamente ha precisato che il comportamento francese è contrario allo spirito (sic) che dovrebbe guidare la liberalizzazione dei mercati europei.
Poco da aggiungere, tutti hanno perso splendide occasioni per tacere, o almeno per riflettere preventivamente, prima di dettare alle agenzie di stampa dichiarazioni che ricordavano (anche per l’elevato tasso di cialtroneria, pressapppochismo ed improvvisazione) il famoso discorso mussoliniano sull'”ora delle decisioni irrevocabili”. Berlusconi ha scolpito che “L’Europa deve intervenire”, e non si capisce come sia possibile intervenire sull’ipotetica violazione della normativa sull’Opa quando nessuna Opa è mai stata lanciata da chicchessia. Formigoni ha dichiarato che “Ora Draghi deve bloccare BNP Paribas su Bnl”, dimenticando che quell’Opa è amichevole (per ammissione degli attuali vertici della banca romana) e soprattutto è stata lanciata nel rispetto formale delle normative, italiana ed europea. Maroni ha immediatamente starnazzato sui dazi del tessile, ma quello ormai non ci sorprende più. Buttiglione è riuscito a superare i suoi già elevati picchi di dabbenaggine, sostenendo che la vicenda prova che “Fazio aveva ragione” a difendere l’italianità delle banche: taglieggiamento dei consumatori incluso, vien fatto di pensare. Dall’altro lato, Prodi riesce ad accusare il governo per non aver confermato Mario Monti a Bruxelles, dimenticando che l’eventuale pronunciamento dell’Antitrust europeo non è ancora nemmeno avvenuto, dovendosi prima determinare dimensioni e quote di mercato dell’entità risultante dalla fusione per stabilire la competenza a valutare l’operazione. Ma soprattutto, Prodi ritiene che questo episodio sia l’ennesima conferma della scarsa rilevanza del nostro paese nel grande risiko di politica industriale europea. Il punto vero è un altro: ogni paese europeo agisce ormai per costruire i propri “campioni nazionali”, fregandosene dell’interesse dei propri consumatori, e cercando di non violare almeno la lettera dell’ordinamento comunitario, ben consapevole che Bruxelles non ha alcuna significativa forza cogente rispetto ai propri membri, e si è esibita in una stupefacente prova muscolare contro Microsoft per motivi che sono fin troppo evidenti, ed assai poco hanno a che vedere con una politica antitrust intellettualmente onesta.
In questo contesto, la rabbia e la frustrazione del governo italiano appaiono comprensibili (ma non giustificabili), soprattutto ove si pensi che Bruxelles ci sanzionò per aver sterilizzato al 2 per cento i diritti di voto di Electricité de France in Edison. Ma in quel caso fu colpa nostra il fatto di esserci fatti cogliere con le mani nel vasetto della marmellata retorica europeista. Il nostro paese paga, rispetto alla logica perversa della creazione di campioni nazionali, anche una scriteriata legislazione interna, figlia della passata legislatura di centrosinistra, che ha deliberatamente applicato vincoli severissimi a Enel ed Eni, costringendole a cercare alleanze fuori dall’Italia senza avere alle spalle un sistema-paese degno di questo nome. La reazione del governo italiano e di Tremonti alla mossa francese appare quindi necessitata, ma non per questo ottimale per i consumatori: una pura misura ritorsiva, alla ricerca della reciprocità perduta. Eppure, come bene evidenziato da Francesco Giavazzi,
E che errore, come giustamente scrive il senatore Franco Debenedetti, insistere sulla reciprocità. Se la concorrenza è la chiave della crescita, e Parigi si arrocca, aprendoci cresceremo più dei francesi. La Gran Bretagna, il Paese più dinamico d’Europa, non si è mai sognata di bloccare un’acquisizione, neppure quando Finmeccanica ha acquistato un’azienda militare, la Westland. L’unica azienda europea che valeva la pena difendere era Skype, l’operatore telefonico via Internet che metterà in ginocchio le telecom tradizionali. Proteggiamo l’acciaio ma nessuno ha scritto un rigo quando l’americana eBay ha comprato Skype. Se vogliamo ricominciare a crescere dobbiamo innanzitutto liberarci delle nostre paure.
Sarebbe utile se Giavazzi ricordasse questo concetto a Romano Prodi, che biascica di reciprocità e tuttavia insiste a considerare la Francia un modello politico a tutto tondo per l’Italia. Maggiore attenzione e studio del modello britannico sarebbero utili ad un paese come l’Italia, che deve gestire l’assenza di settori industriali forti e contemporaneamente continua a scordarsi che il benessere dei consumatori deve restare la stella polare di ogni politica industriale degna di questo nome. Se poi lo capissero anche a Bruxelles, forse la speranza di vedere un’Europa in crescita avrebbe qualche chance in più.
UPDATE: come segnalato anche in questa interessante analisi, le autorità francesi potrebbero tentare di utilizzare la fusione Suez – Gaz De France anche per vincere le fortissime resistenze sindacali alla riduzione della quota di presenza pubblica nella seconda. Oggi all’80 per cento, scenderebbe post-fusione al 40. Evento epocale per il settore pubblico allargato francese, ed i suoi privilegi ipercorporativi (settimana lavorativa di 32 ore…). Certo, la Francia non diventerà per questo un paese liberista…