Il mercato è di sinistra?

Una interessante considerazione di Carlo De Benedetti:

”Il mercato è tendenzialmente di sinistra. Se veramente lo si fa funzionare, rispettando le sue regole, si avvantaggiano le fasce più bisognose della popolazione. Introducendo protezioni o altri vincoli si finisce invece per tutelare solo pochi privilegiati. E’ una realtà della quale tutti dobbiamo convincerci, avviando quella rivoluzione culturale di cui ha estremamente bisogno la nostra economia”.

Se queste osservazioni fossero state pronunciate da un cittadino qualsiasi, e non da un imprenditore che ha tratto corposi benefici dal suo pluriennale asse preferenziale con una specifica parte politica, le avremmo sottoscritte, con l’eccezione della frase di apertura. In fondo, si tratta di concetti ampiamente ribaditi dal pensiero liberale: parità di condizioni di partenza tra i soggetti, incentivo all’innovazione, minima interferenza con le dinamiche di mercato, lotta agli special interests ed al loro ruolo distorsivo di concorrenza e redistribuzione, centralità del ruolo del consumatore nella politica economica. In sintesi, redistribuire la ricchezza, non la povertà.

Attendiamo di sentir citare a sproposito questa frase, che ha buone possibilità di divenire l’inno ufficiale antitrust dell’Unione, con gli immancabili riferimenti al conflitto d’interessi berlusconiano. Il problema verò, però, è che il conflitto d’interessi in questo paese è ubiquo, pervasivo e bipartisan, perché figlio dell’assenza di una vera cultura liberale. Dagli ordini professionali alla mancata separazione delle carriere in magistratura, dalla difesa dell'”italianità” del sistema bancario alla mancata applicazione dell’articolo 39 della costituzione, al costo elevato dei servizi delle utilities, che tanto piacciono ai nostri audaci capitalisti da debito: siamo un paese di rendite, non solo finanziarie.

Il dubbio sorge spontaneo: che il liberalismo sia l’unica forma di progressismo?

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