Mungete, compagni

di Mario Seminerio

Sulla tassazione del risparmio, tornata di moda in questo scorcio finale di estate, abbiamo già scritto in più occasioni. Dobbiamo tornare a constatare che la demagogia e l’ignoranza economica di cui quotidianamente questo governo e questa maggioranza danno prova vengono sinergicamente messe al servizio di una monolitica malafede. Il progetto di “armonizzazione” delle “rendite finanziarie”, come definite dalla marxisteggiante vulgata egemone nella italica subcultura, era effettivamente presente nel programma dell’Unione, che aveva tentato di farlo approvare lo scorso anno nell’ambito di un disegno di legge-delega. Ma la prossimità delle elezioni amministrative e il materializzarsi dell’extragettito fiscale avevano consigliato prudenza ai nostri gabellieri smascherati. Oggi, che il “saldo netto da finanziare è zero”, per dirla con TPS, e che dobbiamo “solo” reperire non meno di 20 miliardi di euro di mance clientelari per l’anno fiscale 2008, anche i 2-3 miliardi stimati di gettito sulle “rendite” fanno comodo. Si sta verificando quello che tutti sospettavamo: il rallentamento congiunturale produrrà buchi di gettito fiscale che dovranno essere compensati ed essendo impossibile, in questo paese, tagliare le spese, cosa c’è di meglio di un sano aumento di imposte?

Ovviamente, parliamo pure di “armonizzazione”, che è tanto trendy, anche se selettivamente, visto che nessuno la invoca per i costi della politica, dove siamo al primo posto assoluto in Europa per incidenza capitaria. Provate a trascorrere un pomeriggio davanti al flusso di agenzie Ansa, è un’esperienza indimenticabile: ogni peone si sente legittimato a lanciare proclami su cose di cui neppure ha cognizione. Prendete ad esempio la performance stellare di tal Donatella Mungo (cognome profetico, vista la materia), capogruppo di Rifondazione Comunista in Commissione Finanze alla Camera, che scolpisce:

“Non siamo più negli anni ’80, un aumento dell’aliquota fiscale sulle rendite non colpirà piccoli risparmiatori e pensionati perché i dati dimostrano che sempre più imprese e investitori stranieri inseriscono Bot e Cct nei loro portafogli, visto che il nostro livello di tassazione è il più basso d’Europa”.

La compagna Mungo dimentica che gli investitori non residenti sono assoggettati, in base a trattati internazionali e monitoraggio fiscale, a tassazione in base alla legislazione fiscale del proprio paese, attraverso il meccanismo del credito d’imposta, e quindi dipingere l’Italia come un paradiso fiscale di non residenti è pura psichedelia comunista. Ma non finisce qui. Aggiunge la compagna Mungo:

“Oltretutto questa operazione favorirebbe la possibilità di dirottare i piccoli risparmi, per la quasi totalità vincolati ai depositi bancari tassati al 27 per cento, verso i Bot che verrebbero tassati, nel caso, solo del 20 per cento”.

La compagna Mungo è mai entrata in una banca? Sa a quanto ammonta la remunerazione media di un conto corrente ordinario? Glielo diciamo noi: è prossima a zero, perché il conto corrente è semplicemente uno strumento di gestione di incassi e pagamenti, e le banche dirottano i clienti, piccoli o grandi che siano, sul risparmio gestito. A quanto ammonta un taglio di 7 punti percentuali sulla tassazione di un reddito da interessi pari a zero? Lo sa, compagna Mungo, cosa c’è in pancia ai fondi monetari ed obbligazionari sottoscritti da piccoli risparmiatori e pensionati? Quando va bene, ci sono Bot, Cct e Btp. Incredibile, vero? E poi scusi, compagna Mungo, se i Bot tassati al 20 per cento sono così convenienti da “dirottare” piccoli risparmiatori e pensionati, perché non mantenere l’aliquota del 12,5 per cento? E ancora: qualcuno ha spiegato alla compagna Mungo che, trattandosi di tassazione di redditi da capitale (quindi anche di plusvalenze azionarie), in caso di ribassi di borsa i risparmiatori godrebbero di un bel credito d’imposta del 20 per cento, che scaverebbe altri buchi nel bilancio dello Stato?

Gran finale della compagna Mungo:

“L’unica cosa che deve essere ancora valutata è se includere nell’aumento i titoli già emessi oppure solo quelli di nuova emissione”.

Ma come, compagna Mungo, lei vorrebbe esonerare i titoli già emessi dalla sottoposizione alla nuova aliquota? Ma non lo ha letto, sul Capitale, che così facendo si creerebbero differenze di trattamento tra titoli di vecchia e di nuova emissione, facendo un bel regalo in conto capitale (e cioè nella valutazione dei titoli) a chi ha titoli più vecchi, come è puntualmente avvenuto nel 1986, al momento dell’introduzione della tassazione sui titoli pubblici? Non vorremo davvero essere così iniqui? Ci rifletta, cara compagna Mungo.

(© Libero Mercato)

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